Repubblica — 20 marzo 1997 - pagina 49
TORINO - Buongiorno, siamo i signori del calcio del 2000. Alle spalle non abbiamo televisioni nè fabbriche, non vendiamo latte nè pelati: ci sono le banche d' affari, quelle che vivono facendo scommesse finanziarie. Non promettiamo scudetti: prima viene il marketing, di questo siamo specialisti. L' obiettivo è arrivare in Europa entro il 2000. In Coppa Uefa? No, alla Borsa di Londra. Siamo i nuovi padroni del Torino - Massimo Vidulich presidente, Davide Palazzetti amministratore delegato e Renato Bodi (forse) vice-presidente - e abbiamo un grande progetto: importare il modello del calcio inglese, azionariato diffuso e pay-per-view. Viaggerebbero con soldi americani, i tre genovesi titolari di una società, la Hsl (hic sunt leones, vuol dire), che ha un capitale sociale di cento milioni.
Spendono il nome di due banche d' affari - due colossi, la Merrill Lynch e la Bankers Trust - azioniste, con il 33 per cento ciascuna, della Bullfin, la finanziaria creata per acquistare il Torino. Però dietro c' è qualcosa, qualcuno. "Non direttamente noi", dice Richard Silverman, vice-presidente della Merrill Lynch a Londra. "La parte che ci viene attribuita appartiene a un conto fiduciario, formato da un numero imprecisato di investitori privati, che risiede presso la nostra banca". E allora quella della multinazionale che sbarca in Italia è una storia imprecisa: semplicemente, la banca gestisce i soldi, e mette il nome, per conto di qualcuno che non vuole apparire.
I nuovi padroni ribattono: "A Londra non ne sa nulla, noi ci siamo mossi a New York. E oggi, vedrete, arriveranno i comunicati delle banche, a conferma della regolarità dell' operazione. I soldi ci sono, comunque, e i finanziatori anche". Subito un sospetto, un mistero? Calleri, per prevenire, comunica di "non aver mai avuto conti bancari presso la Merrill Lynch". Altri indizi segnalano che il nome sconosciuto potrebbe essere quello di Roberto Regis Milano, figlio di quel Luigi travolto, con la Cameli, in un crack da 1000 miliardi. Regis Milano junior (che fa affari con l' Indonesia) figura fra i soci della Hsl, ma è l' unico di loro che - benchè sia il più noto e il più facoltoso dei quattro - non compare nell' organigramma granata. Il Toro futuro comincia così, con un dubbio e un progetto: tirare la volata alla grande rivoluzione del football scatenata dalla legge 589/96, quella che ha trasformato le vecchie spa calcistiche in società a scopo di lucro. Partono da Torino e dal Torino, dopo aver corteggiato il Genoa e sondato la Reggiana. I signori del calcio del 2000 - i tre che si sono fatti conoscere - sono tre yuppies genovesi, età tra i 37 e i 38, linguaggio futurista: lavorano nello shipping (settore marittimo), pensano al low profile (stile inglese), presentano il plain business (progetto economico, sono assistiti da un account executive (addetto stampa). All' inizio quelli del vecchio Toro - abituati a tradurre in piemontese anche tackle, cross e stopper - hanno ascoltato perplessi, temendo di essere più cavie che pionieri. "Il merchandising sarà fondamentale: in Inghilterra, una società di medio livello ricava dal marketing 17 miliardi l' anno".
In Italia, soprattutto nel Toro malato e calpestato dai suoi ex presidenti, quasi zero. Dicono che hanno pronti venti miliardi da spendere nella prossima campagna acquisti, "e forse ci siamo tenuti stretti". Il primo obiettivo: ingaggiare un direttore sportivo di grande affidabilità, si parla del sampdoriano Borea. A parte il business, i nuovi padroni hanno detto che non uccideranno il calcio romantico: "Puntiamo molto sulla rinascita del Filadelfia. E sappiamo che la prima cosa è riportare la gente ad amare il Toro. Vogliamo giocatori di grinta e cuore, vogliamo essere faziosi e riscaldare la rivalità con la Rube. A proposito, noi da Torino non ce ne andremo, a qualunque costo". Anzi: se i bianconeri emigrano tanto meglio, sarà più facile riconquistare alla causa granata la perplessa Torino, che chiede risposte ed è costretta a farsi domande.
- Emanuele Gamba
TORINO - Buongiorno, siamo i signori del calcio del 2000. Alle spalle non abbiamo televisioni nè fabbriche, non vendiamo latte nè pelati: ci sono le banche d' affari, quelle che vivono facendo scommesse finanziarie. Non promettiamo scudetti: prima viene il marketing, di questo siamo specialisti. L' obiettivo è arrivare in Europa entro il 2000. In Coppa Uefa? No, alla Borsa di Londra. Siamo i nuovi padroni del Torino - Massimo Vidulich presidente, Davide Palazzetti amministratore delegato e Renato Bodi (forse) vice-presidente - e abbiamo un grande progetto: importare il modello del calcio inglese, azionariato diffuso e pay-per-view. Viaggerebbero con soldi americani, i tre genovesi titolari di una società, la Hsl (hic sunt leones, vuol dire), che ha un capitale sociale di cento milioni.
Spendono il nome di due banche d' affari - due colossi, la Merrill Lynch e la Bankers Trust - azioniste, con il 33 per cento ciascuna, della Bullfin, la finanziaria creata per acquistare il Torino. Però dietro c' è qualcosa, qualcuno. "Non direttamente noi", dice Richard Silverman, vice-presidente della Merrill Lynch a Londra. "La parte che ci viene attribuita appartiene a un conto fiduciario, formato da un numero imprecisato di investitori privati, che risiede presso la nostra banca". E allora quella della multinazionale che sbarca in Italia è una storia imprecisa: semplicemente, la banca gestisce i soldi, e mette il nome, per conto di qualcuno che non vuole apparire.
I nuovi padroni ribattono: "A Londra non ne sa nulla, noi ci siamo mossi a New York. E oggi, vedrete, arriveranno i comunicati delle banche, a conferma della regolarità dell' operazione. I soldi ci sono, comunque, e i finanziatori anche". Subito un sospetto, un mistero? Calleri, per prevenire, comunica di "non aver mai avuto conti bancari presso la Merrill Lynch". Altri indizi segnalano che il nome sconosciuto potrebbe essere quello di Roberto Regis Milano, figlio di quel Luigi travolto, con la Cameli, in un crack da 1000 miliardi. Regis Milano junior (che fa affari con l' Indonesia) figura fra i soci della Hsl, ma è l' unico di loro che - benchè sia il più noto e il più facoltoso dei quattro - non compare nell' organigramma granata. Il Toro futuro comincia così, con un dubbio e un progetto: tirare la volata alla grande rivoluzione del football scatenata dalla legge 589/96, quella che ha trasformato le vecchie spa calcistiche in società a scopo di lucro. Partono da Torino e dal Torino, dopo aver corteggiato il Genoa e sondato la Reggiana. I signori del calcio del 2000 - i tre che si sono fatti conoscere - sono tre yuppies genovesi, età tra i 37 e i 38, linguaggio futurista: lavorano nello shipping (settore marittimo), pensano al low profile (stile inglese), presentano il plain business (progetto economico, sono assistiti da un account executive (addetto stampa). All' inizio quelli del vecchio Toro - abituati a tradurre in piemontese anche tackle, cross e stopper - hanno ascoltato perplessi, temendo di essere più cavie che pionieri. "Il merchandising sarà fondamentale: in Inghilterra, una società di medio livello ricava dal marketing 17 miliardi l' anno".
In Italia, soprattutto nel Toro malato e calpestato dai suoi ex presidenti, quasi zero. Dicono che hanno pronti venti miliardi da spendere nella prossima campagna acquisti, "e forse ci siamo tenuti stretti". Il primo obiettivo: ingaggiare un direttore sportivo di grande affidabilità, si parla del sampdoriano Borea. A parte il business, i nuovi padroni hanno detto che non uccideranno il calcio romantico: "Puntiamo molto sulla rinascita del Filadelfia. E sappiamo che la prima cosa è riportare la gente ad amare il Toro. Vogliamo giocatori di grinta e cuore, vogliamo essere faziosi e riscaldare la rivalità con la Rube. A proposito, noi da Torino non ce ne andremo, a qualunque costo". Anzi: se i bianconeri emigrano tanto meglio, sarà più facile riconquistare alla causa granata la perplessa Torino, che chiede risposte ed è costretta a farsi domande.
- Emanuele Gamba
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