Repubblica — pagina 44
TORINO - "Siamo arrivati allo stadio di Firenze e c' erano tre spogliatoi", racconta Emiliano Mondonico. "Uno per la squadra di casa, uno per la squadra ospite e uno nel sottoscala. Indovinate quale ci hanno dato". Ed è proprio così, con l' orgoglio del sottoscala inciso nell' anima, che il vecchio Toro ricomincia da sé. Diverso, e ben felice di esserlo. Fuori dal giro, ma anche fuori dalle assurdità di mercato, dall' estate degli Anelka, dalle amichevoli a gettone: "Abbiamo rifiutato un invito di sei giorni a Miami e una partita contro il Real Madrid al Bernabeu, lo abbiamo fatto per poter lavorare meglio e pazienza se così rinunciamo ai soldi di sponsor e tv". Risultato: diciotto amichevoli, diciotto vittorie e non tutte contro il dopolavoro ferroviario, anche contro Parma, Roma e Fiorentina, 156 gol segnati, più di tutta la serie A. Neanche un acquisto a sensazione e nessuna voglia di essere come gli altri. Universo di frontiera, periferia urbana all' ombra della Rube (ma la curva granata canta "Torino siamo noi"), derby infinito contro il resto del mondo, polvere di storia e memoria, ferite terribili e non solo Superga, non solo Meroni, per esempio lo stadio Filadelfia ingoiato dalle ruspe, per esempio il vivaio che era il migliore d' Italia e poi ci passò sopra un' altra ruspa, Gian Marco Calleri, quello che regalò Vieri. Eppure il vecchio Toro è sempre qui, con la sua inesausta resistenza umana: è sopravvissuto a Borsano e Craxi, al notaio Goveani, al liquidatore Calleri, dunque è eterno. "Siamo e saremo sempre una Cenerentola, ci hanno chiamato a Firenze per fare gli sparring-partner" dice Mondonico, e ogni parola sembra incisa nella pietra: "Poi abbiamo vinto noi, perché facciamo tutto sul serio". Gente seria, quelli del Toro lo sono. Dirigenti-ombra? Capitali indonesiani? Forse. Ma intanto si lavora e mai una polemica, mai una pagliacciata. Tifo retorico e nostalgico? Tifo che riconosce i ricordi, che compra in due ore tutte le maglie storiche in riedizione Grande Torino (girocollo granata scuro, scudettone), poi va a navigare su Internet e intasa il sito "www.cannonieri.it", il più amato dagli italiani. E saranno anche retorici, ma che grande idea non assegnare la maglia numero 12 perché spetta alla curva Maratona, è di sua proprietà come dodicesimo giocatore. Anche in campo è resistenza. "Il nostro destino sarà adattarci all' avversario e disorientarlo". Emiliano Mondonico detto "Mondo" (e lui è proprio così, un mondo a parte) anticipa il tema tattico e morale del campionato granata. Gli altri sono le dita, il Toro è il guanto. "Sei, sette giocatori titolari e il resto cambia, a rotazione". Mai dare punti di riferimento ma saper leggere partite e situazioni, tutto al volo. Due attaccanti, Ferrante che voleva andarsene e Lentini che voleva tornare dentro se stesso, chiudendo il viaggio terribile e bellissimo di un uomo smarrito. Ce l' ha fatta e adesso è qui, non un ricordo antico ma un blocco di muscoli, fantasia e futuro. Gli altri, attorno e dietro, sembrano forti anche se si chiamano Tricarico, Sommese, Asta e non Del Piero, Ronaldo, Batistuta. "Voglio gente eclettica, non omini del calciobalilla immobili sulla loro linea". Correranno, morderanno, ci sarà un mediano classico (Sanna) deposto sulle caviglie del fantasista altrui. Anche il mercato è stato intelligente e non demagogico, il problema semmai è vendere, sfoltire. Sono arrivati Pecchia e Cruz, Mendez e Silenzi, gente più di lotta che di governo, oltre a quel mattoide anarchico di Diawara, uno che può arrivare ovunque purché decida dove. è lui, francese nero e rosso fuoco, l' acquisto più costoso: sette miliardi, le briciole cadute dal tavolo delle grandi. E tutto il Toro costa meno dello stipendio di Del Piero ma è così che si fa, dopo tre anni di serie B e una magnifica, orgogliosa vita nel sottoscala.
- di MAURIZIO CROSETTI
TORINO - "Siamo arrivati allo stadio di Firenze e c' erano tre spogliatoi", racconta Emiliano Mondonico. "Uno per la squadra di casa, uno per la squadra ospite e uno nel sottoscala. Indovinate quale ci hanno dato". Ed è proprio così, con l' orgoglio del sottoscala inciso nell' anima, che il vecchio Toro ricomincia da sé. Diverso, e ben felice di esserlo. Fuori dal giro, ma anche fuori dalle assurdità di mercato, dall' estate degli Anelka, dalle amichevoli a gettone: "Abbiamo rifiutato un invito di sei giorni a Miami e una partita contro il Real Madrid al Bernabeu, lo abbiamo fatto per poter lavorare meglio e pazienza se così rinunciamo ai soldi di sponsor e tv". Risultato: diciotto amichevoli, diciotto vittorie e non tutte contro il dopolavoro ferroviario, anche contro Parma, Roma e Fiorentina, 156 gol segnati, più di tutta la serie A. Neanche un acquisto a sensazione e nessuna voglia di essere come gli altri. Universo di frontiera, periferia urbana all' ombra della Rube (ma la curva granata canta "Torino siamo noi"), derby infinito contro il resto del mondo, polvere di storia e memoria, ferite terribili e non solo Superga, non solo Meroni, per esempio lo stadio Filadelfia ingoiato dalle ruspe, per esempio il vivaio che era il migliore d' Italia e poi ci passò sopra un' altra ruspa, Gian Marco Calleri, quello che regalò Vieri. Eppure il vecchio Toro è sempre qui, con la sua inesausta resistenza umana: è sopravvissuto a Borsano e Craxi, al notaio Goveani, al liquidatore Calleri, dunque è eterno. "Siamo e saremo sempre una Cenerentola, ci hanno chiamato a Firenze per fare gli sparring-partner" dice Mondonico, e ogni parola sembra incisa nella pietra: "Poi abbiamo vinto noi, perché facciamo tutto sul serio". Gente seria, quelli del Toro lo sono. Dirigenti-ombra? Capitali indonesiani? Forse. Ma intanto si lavora e mai una polemica, mai una pagliacciata. Tifo retorico e nostalgico? Tifo che riconosce i ricordi, che compra in due ore tutte le maglie storiche in riedizione Grande Torino (girocollo granata scuro, scudettone), poi va a navigare su Internet e intasa il sito "www.cannonieri.it", il più amato dagli italiani. E saranno anche retorici, ma che grande idea non assegnare la maglia numero 12 perché spetta alla curva Maratona, è di sua proprietà come dodicesimo giocatore. Anche in campo è resistenza. "Il nostro destino sarà adattarci all' avversario e disorientarlo". Emiliano Mondonico detto "Mondo" (e lui è proprio così, un mondo a parte) anticipa il tema tattico e morale del campionato granata. Gli altri sono le dita, il Toro è il guanto. "Sei, sette giocatori titolari e il resto cambia, a rotazione". Mai dare punti di riferimento ma saper leggere partite e situazioni, tutto al volo. Due attaccanti, Ferrante che voleva andarsene e Lentini che voleva tornare dentro se stesso, chiudendo il viaggio terribile e bellissimo di un uomo smarrito. Ce l' ha fatta e adesso è qui, non un ricordo antico ma un blocco di muscoli, fantasia e futuro. Gli altri, attorno e dietro, sembrano forti anche se si chiamano Tricarico, Sommese, Asta e non Del Piero, Ronaldo, Batistuta. "Voglio gente eclettica, non omini del calciobalilla immobili sulla loro linea". Correranno, morderanno, ci sarà un mediano classico (Sanna) deposto sulle caviglie del fantasista altrui. Anche il mercato è stato intelligente e non demagogico, il problema semmai è vendere, sfoltire. Sono arrivati Pecchia e Cruz, Mendez e Silenzi, gente più di lotta che di governo, oltre a quel mattoide anarchico di Diawara, uno che può arrivare ovunque purché decida dove. è lui, francese nero e rosso fuoco, l' acquisto più costoso: sette miliardi, le briciole cadute dal tavolo delle grandi. E tutto il Toro costa meno dello stipendio di Del Piero ma è così che si fa, dopo tre anni di serie B e una magnifica, orgogliosa vita nel sottoscala.
- di MAURIZIO CROSETTI
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