GIA' PRONTI I SOLDI PER I NUOVO STADIO
Tuttosport, 19 luglio 1997
Diciassette ottobre 1926, i torinesi torinisti assistono all'inaugurazione del Filadelfia. Diciotto luglio 1997, i torinesi torinisti assistono alla demolizione del Filadelfia. Sono il Conte Enrico Marone Cinzano e l'onorevole Diego Novelli i protagonisti di questi due momenti storici accomunati dallo stesso spirito: dare al Torino uno stadio di proprietà dove poter giocare e far sentire a casa i tifosi. La giornata di ieri ha il suo momento clou un minuto prima delle dodici e trenta, quando il silenzio rispettoso del migliaio di presenti si arrende al fragore del maglio granata che pesante cade sulla gradinata opposta alla tribuna. Il Filadelfia, il vecchio Filadelfia, fra qualche mese non ci sarà più. Al suo posto dovrà sorgere quello nuovo: assomiglierà tantissimo a quello ammirato sul plastico che ieri mattina era in bella mostra sul prato che fu di Valentino Mazzola.
Ieri allo stadio, si respirava un'aria di sano ottimismo grazie al discorso dell'ex sindaco di Torino che regalava al più timido Castellani, invitato e presente all'avvenimento, una lezione pratica di comizio. Novelli ringraziava tutti coloro che hanno lavorato affinché l'inizio dei lavori potesse cominciare, salutava tutti gli invitati, le vedove Maroso e Gabetto per prime, prometteva che il Filadelfia rinascerà, probabilmente per il 4 maggio 1999, quando si celebrerà il cinquantennale della tragedia di Superga. Parole diranno gli scettici, vero, ma è anche vero che Novelli si è esposto davanti a mille persone e al suo fianco c'era il Sindaco di Torino a garantire, anche lui, che la sfida con il tempo si potrà vincere. Sotto la tensostruttura, «allestita gentilmente dalla Fiat, anzi, se da corso Marconi vogliono staccare un assegno noi lo accettiamo e loro possono anche scaricare la cifra dalle tasse», spiegava ai tifosi Novelli animando il pubblico, c'era anche lo staff dirigenziale del Torino al completo: Vidulich, Palazzetti, Bodi e Regis Milano. Appena arrivati, i quattro declinavano dichiarazioni impegnative: «Siamo ospiti, non è il nostro momento, è il momento della Fondazione che dà il via al sogno». Al termine della cerimonia, all'uscita, gli stessi non aggiungevano nulla ma avevano un'espressione decisamente più serena. Poco prima, nel suo discorso, Novelli aveva più volte ribadito la piena disponibilità della Fondazione a far sì che il Torino possa diventare proprietario dell'immobile. Seguendo questa via non ci sarà più solo "comunione d'intenti" per la realizzazione dell'intera ristrutturazione. Entro ottobre o novembre il Torino potrebbe sciogliere le ultime riserve e decidere di individuare nel Filadelfia lo stadio del futuro. Nel mentre, tra l'altro, si dovrà trovare un'intesa con i vari assessorati per un aumento della capienza al momento fissata intorno a quota ventimila. Ma i soldi, ricorderanno gli scettici più attenti, ci sono? I soldi, strano ma vero, ci sono. O meglio, ci sarebbero. Seduto in prima fila, ieri, c'era un signore gentile e importante: il dottor Savini Nicci, vice direttore generale del Credito Sportivo. Il dirigente, pochi minuti prima che cadesse il maglio, rispondeva sereno: «Siamo a disposizione per ristrutturare impianti o costruirne di nuovi. Abbiamo contribuito a realizzare il "Giglio" con un finanziamento a tasso agevolato (il 4,5%). La Reggiana ha avuto da noi dieci miliardi, il trenta per cento circa dell'intera opera. L'onorevole Novelli ha già contattato il mio presidente per utilizzare i nostri fondi nel Filadelfia. Massimali? No, non ne abbiamo. Se fosse necessario potremmo finanziare anche tutta la ristrutturazione del Filadelfia». Al suo fianco, in rappresentanza di Veltroni, che da tempo ha preso a cuore il rapporto stadi-società offrendo nuove possibilità ai club per diventare proprietari degli impianti, c'era il dottor Valitutti: «Torino, con questa operazione, può tornare capitale assoluta del calcio con il primo stadio all'inglese». Se si decidesse per il finanziamento totale, il costo, all'anno, s'avvicinerebbe a quello che il Toro sopporta per il Delle Alpi. Intanto, dalla Regione, sta per arrivare 1 miliardo.
Marco Bo
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ADDIO FILADELFIA STADIO DEI RICORDI
Repubblica — 19 luglio 1997 - pagina 43
TORINO - La ruspa slitta, scarta di lato sull' erba malata, si blocca. Silenzio. Solo il sospiro del vento tra i gradoni. La mazza ferrata ondeggia, è appesa ad un braccio meccanico che sembra la bocca del dinosauro, poi si ferma. Sta per cadere, tra poco cadrà. Il vecchio massaggiatore Tardito tira su dal naso, "quanti palloni sono andato a recuperare là sotto, quanti palloni e adesso è finita". Lido Vieri si stropiccia gli occhi. Franco Ossola, quello che non ha mai conosciuto suo padre che era un campione del Grande Torino, dice "avevo solo questo prato per sentire vivo papà, ora ci toglieranno tutto". La mazza ondeggia, sta per cadere sul cemento della gradinata, tra poco cadrà. Comincia la demolizione del Filadelfia chiuso da tre anni, nel giorno della presentazione del nuovo Toro. Poi lo stadio dovrebbe rinascere, forse. Intanto stanno zitti i tifosi. Stanno zitte le autorità. Sta zitta la signora Carla che fa la custode della ruggine, con i suoi sei gatti e il cane lupo addormentato. Stanno zitti anche i camerieri in livrea e farfallino nero, sotto il gazebo: dopo il funerale dello stadio Filadelfia offriranno un drink. Adesso la mazza cade, guarda i cingoli del mostro come ballano sul prato, guarda i girasoli e le ortiche e la gramigna sul campo dei leggendari. E che profumo di cimitero, di foglie putrefatte. "Io lo capisco che il Filadelfia non poteva restare così: ma perchè abbatterlo quasi tutto?". Romantico Franco Ossola che ha passato la vita a rincorrere il fantasma di suo padre, a dargli volto e voce, a cercare la mano di un' impossibile carezza. Anche a lui hanno raccontato che questo non è l' ultimo colpo di piccone ma il primo perche il luogo del mito rinasca. C' è una fondazione, dovrebbero arrivare anche i soldi.
Trenta miliardi: un po' dal credito sportivo, dalle attività commerciali, dalla colletta dei tifosi chiamati a comprare il simbolico mattone: centomila lire per una speranza. O un' illusione.
Quella di rivedere qui le partite. Ma il Filadelfia non è più di proprietà del Toro, che se proprio deve investire si costruisce il suo impianto e si quota in Borsa. "Oggi siamo solo ospiti, non parliamo" dice infatti il presidente Vidulich. La boccia di ferro traballa nel mattino scintillante, ora scende. Tanta gente la guarda sollevando gli occhi controsole, magari è per questo che sono umidi, chissà. "Io mi ricordo in guerra, cadde una bomba proprio lì, nei distinti. Ebbene, misero le transenne e si continuò a giocare". Ma il vecchio tifoso ha capito che stavolta non si può resistere, tra poco sul prato ci saranno solo macerie e promesse. Qualcuno osserva il plastico piazzato a centrocampo: due tribune coperte, bellino, ma cosa sono quei palazzi bianchi davanti allo stadio? L' albergo, il supermercato, la birreria, ecco cosa sono. Quello che, per i soliti maligni, rappresenta l' autentico motivo dell' operazione immobiliare. "Basta lacrime e sospetti, tutto sarà pronto per il 4 maggio '99, cinquantenario di Superga, i permessi per costruire arriveranno" dice Diego Novelli, presidente della Fondazione Filadelfia. Ma per ora non ci sono. Mentre quel braccio meccanico c' è eccome, tra un attimo il tirannosauro spalancherà le fauci e aprirà la prima ferita nel cuore di pietra, nel luogo dove l' Italia ritrovò la forza di rinascere dopo i tedeschi e i morti, insieme alle pedalate di Coppi e alle corse di Mazzola. Farà un buco largo tre metri quella boccia di ferro tra petardi e applausi, scenderà come la bara nella fossa, qualcuno piangerà prendendo a calci le ortiche. Poi andrà a rivedersi la ruota dell' aereo, l' elica senza una pala, il cortile dove le maglie dei giocatori appese ad asciugare parevano le vele di un galeone sempre pronto a salpare, nella burrasca di qualche sogno. Ma prima andrà a raccogliere un sasso sotto la pancia della ruspa. Il funerale del Filadelfia finisce proprio così, con i parenti del morto che tornano a casa con una pietra in mano. Che ad ognuno resti almeno un ricordo da toccare.
Maurizio Crosetti
TORINO - La ruspa slitta, scarta di lato sull' erba malata, si blocca. Silenzio. Solo il sospiro del vento tra i gradoni. La mazza ferrata ondeggia, è appesa ad un braccio meccanico che sembra la bocca del dinosauro, poi si ferma. Sta per cadere, tra poco cadrà. Il vecchio massaggiatore Tardito tira su dal naso, "quanti palloni sono andato a recuperare là sotto, quanti palloni e adesso è finita". Lido Vieri si stropiccia gli occhi. Franco Ossola, quello che non ha mai conosciuto suo padre che era un campione del Grande Torino, dice "avevo solo questo prato per sentire vivo papà, ora ci toglieranno tutto". La mazza ondeggia, sta per cadere sul cemento della gradinata, tra poco cadrà. Comincia la demolizione del Filadelfia chiuso da tre anni, nel giorno della presentazione del nuovo Toro. Poi lo stadio dovrebbe rinascere, forse. Intanto stanno zitti i tifosi. Stanno zitte le autorità. Sta zitta la signora Carla che fa la custode della ruggine, con i suoi sei gatti e il cane lupo addormentato. Stanno zitti anche i camerieri in livrea e farfallino nero, sotto il gazebo: dopo il funerale dello stadio Filadelfia offriranno un drink. Adesso la mazza cade, guarda i cingoli del mostro come ballano sul prato, guarda i girasoli e le ortiche e la gramigna sul campo dei leggendari. E che profumo di cimitero, di foglie putrefatte. "Io lo capisco che il Filadelfia non poteva restare così: ma perchè abbatterlo quasi tutto?". Romantico Franco Ossola che ha passato la vita a rincorrere il fantasma di suo padre, a dargli volto e voce, a cercare la mano di un' impossibile carezza. Anche a lui hanno raccontato che questo non è l' ultimo colpo di piccone ma il primo perche il luogo del mito rinasca. C' è una fondazione, dovrebbero arrivare anche i soldi.
Trenta miliardi: un po' dal credito sportivo, dalle attività commerciali, dalla colletta dei tifosi chiamati a comprare il simbolico mattone: centomila lire per una speranza. O un' illusione.
Quella di rivedere qui le partite. Ma il Filadelfia non è più di proprietà del Toro, che se proprio deve investire si costruisce il suo impianto e si quota in Borsa. "Oggi siamo solo ospiti, non parliamo" dice infatti il presidente Vidulich. La boccia di ferro traballa nel mattino scintillante, ora scende. Tanta gente la guarda sollevando gli occhi controsole, magari è per questo che sono umidi, chissà. "Io mi ricordo in guerra, cadde una bomba proprio lì, nei distinti. Ebbene, misero le transenne e si continuò a giocare". Ma il vecchio tifoso ha capito che stavolta non si può resistere, tra poco sul prato ci saranno solo macerie e promesse. Qualcuno osserva il plastico piazzato a centrocampo: due tribune coperte, bellino, ma cosa sono quei palazzi bianchi davanti allo stadio? L' albergo, il supermercato, la birreria, ecco cosa sono. Quello che, per i soliti maligni, rappresenta l' autentico motivo dell' operazione immobiliare. "Basta lacrime e sospetti, tutto sarà pronto per il 4 maggio '99, cinquantenario di Superga, i permessi per costruire arriveranno" dice Diego Novelli, presidente della Fondazione Filadelfia. Ma per ora non ci sono. Mentre quel braccio meccanico c' è eccome, tra un attimo il tirannosauro spalancherà le fauci e aprirà la prima ferita nel cuore di pietra, nel luogo dove l' Italia ritrovò la forza di rinascere dopo i tedeschi e i morti, insieme alle pedalate di Coppi e alle corse di Mazzola. Farà un buco largo tre metri quella boccia di ferro tra petardi e applausi, scenderà come la bara nella fossa, qualcuno piangerà prendendo a calci le ortiche. Poi andrà a rivedersi la ruota dell' aereo, l' elica senza una pala, il cortile dove le maglie dei giocatori appese ad asciugare parevano le vele di un galeone sempre pronto a salpare, nella burrasca di qualche sogno. Ma prima andrà a raccogliere un sasso sotto la pancia della ruspa. Il funerale del Filadelfia finisce proprio così, con i parenti del morto che tornano a casa con una pietra in mano. Che ad ognuno resti almeno un ricordo da toccare.
Maurizio Crosetti
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