mercoledì 11 novembre 2009

11/11/09 - Fila il tempio che fu del GRANDE TORINO

La riflessione della sorella Fabiola Valsania

Il "Fila", come lo definiscono affettuosamente i tifosi del Toro, può solo aspettare che qualcuno un giorno si ricordi di lui e gli renda la giustizia che gli spetta e che si merita.


Le numerose e continue contestazioni per l'ex Stadio Filadelfia, che hanno visto protagonisti i tifosi del Torino, suscitano in chi ricorda il "Fila" una riflessione sull'atmosfera di profondo degrado che pervade quello stadio.
Quello stadio che in fondo è come se fosse la storia di una squadra, rappresentata da un paesaggio. Se bisogna descriverne uno, il pensiero non sempre corre alla propria stanza colorata, nè all'armoniosa architetttura di una cittadina o alle imponenti catene di montagne silenziose che nella loro maestosità sembrano ammirare le terre piemontesi prestandosi a far da cornice.
A volte nella mente di una semplice diciottene, si risveglia un paesaggio interiore, costituito da un mondo tutto rosa e pieno di dolci e di merletti...Stavolta no.
Stavolta il pensiero corre ad un luogo di Torino, e in particolare ad un angolo di questa splendida quanto complicata città.
Un angolo dove oggi imperano la tristezza e lo squallore, dove possiamo rifletterci nello sdegno per l'abbandono di un luogo che dovrebbe essere onorato, ammirato, il luogo dove sorgeva, un tempo, lo stadio Filadelfia.
Il tempio che per anni è stato il campo di battaglia di undici eroi morti senza colpa.
Oggi, di quel tempio, restano solo le fondamenta, nemmeno troppo curate. La natura indomata ha rovinato quell'erba che una volta era calpestata dai tacchetti di quegli angeli granata che adesso lo osservano, probabilmente anche loro con sdegno, dall'azzurro e dalla quiete del cielo.
Da lassù, dove non ci sono più partite da vincere, scudetti da conquistare. Dove adesso volano quegli aerei come quello che pose fine ad un'era...Quella del Grande Torino. E con la morte della squadra degli Invincibili, anche lo Stadio sembra progressivamente essere morto con lei. E ancora oggi ricorda tanto gli onori quanto la tragedia che segnarono la squadra, i tifosi, la popolazione torinese e il mondo dello sport. Non si può passare per via Filadelfia senza rivolgere uno sguardo e un silenzio rispettoso a quelle gradinate spaccate, a quei residui di mattoni rossi. Senza inchinarsi di fronte a quel luogo che suscita un grande fascino, ma al contempo una tristezza incolmabile. Ed è così che erbacce, foglie secche, terra arida, costituiscono oggi quel luogo che un tempo era il "divertissement" di 15.000 tifosi con la T maiuscola. Fino a quando una bomba, durante la Seconda Guerra Mondiale, si è scagliata, indesiderata, non solo sullo stadio, ma anche nel cuore di ogni tifoso del Toro, aprendo una ferita che ancora oggi nessuno è riuscito a chiudere. Iniziarono i lavori di ristrutturazione, ma una quindicina di anni dopo, fu abbandonato definitivamente il restauro dello stadio. Oggi, tutto è ancora pressochè come allora, come se lo stadio fosse stato appena bombardato, e ci si può accorgere di ciò ogni volta che ci si passa davanti, impotenti, sapendo che purtroppo nulla lo riporterà al suo stato originale. Ma in fondo, tornerebbe davvero come prima? Su quegli spalti, ci si dimenticava, per circa 90 minuti, dei dolori della Guerra. Si sopravviveva in mezzo a una società dilaniata dalla sofferenza, rifugiandosi in quella piccola isola d'erba felice, come se le mura di cinta potessero escludere quel lager che era il mondo esterno.
E' con questi occhi che bisogna rivolgersi a quel campo. Con gli occhi del cuore, di un paesaggio della memoria, perchè solo osservandolo attraverso la cruda realtà, non lo si apprezzerebbe per quello che ha significato e significa ancora oggi: una casa morale.
Silenzioso, ha osservato scontri tra tifosi e ha lasciato che avvenissero contestazioni per la tanto sperata ricostruzione, che però non arriva mai. E' stato la scenografia di attimi di vita, per alcuni diventati indimenticabili. Si è rassegnato alla crudeltà delle persone che l'hanno relegato in quell'angolo di città, dimenticandosene, come se non avesse mai avuto importanza.
Ma in fondo, l'erba non parla, non si può lamentare. La terra arida non può urlare che vorrebbe nuovamente essere curata e controllata ogni domenica nell'attesa di udire le grida dei tifosi incitare la propria squadra. La voce della natura, non si sente, ma se ne vedono gli effetti: il campo, le gradinate, lo stadio stesso, riempono l'aria con un urlo silenzioso di sconforto, sconfitta, delusione per l'indifferenza degli uomini.
Il "Fila", come lo definiscono affettuosamente i tifosi del Toro, può solo aspettare che qualcuno un giorno si ricordi di lui e gli renda la giustizia che gli spetta e che si merita. Si dice che finchè c'è vita c'è speranza, quella stessa speranza che ancora oggi smuove l'animo di giovani tifosi, che anche se non hanno visto il disputarsi nemmeno di una partita in quello stadio, protestano ancora con forza, cuore e con quella fede che non ha mai fine, ma è parte integrante dell'animo di ogni tifoso del Toro.


Fabiola Valsania


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