domenica 10 maggio 2009

Ricordi del Filadelfia

Alè Toro 1974

FILADELFIA, UN TEMPIO DEL CALCIO

Correva l'anno 1926 e presidente del Torino era il conte dott. Enrico Marone Cinzano; per sua iniziativa fu costituita una "Società Civile Campo Torino", con numerose aliquote di capitale divise tra i soci, a fondo perduto, ovviamente allo scopo di sovvenzionare la costruzione del campo sociale. Lo progettò un tecnico di casa, il prof. ing. Gamba, valoroso insegnante al Politecnico torinese, sportivo autentico, ex-campione italiano di lotta e sollevamento, il campo di gioco fu costruito secondo i più funzionali dettami della tecnica, con impianto di drenaggio e "pelouse" sul modello dei campi inglesi. Fu opera dell'impresario comm. Filippa, un altro "entusiasta granata al cospetto di Dio" (il termine e di Umberto Maggioli).

Dinanzi a 15.000 spettatori - un primato per quei tempi - il campo fu inaugurato il 17 ottobre 1926, in occasione della partita di campionato contro la "Fortitudo" di Roma, guidata dal povero e bravo Attilio Ferraris (IV). Da quel giorno, per molti anni, il Filadelfia fu il campo di casa.

Il 13 dicembre 1931 fu la sede della partita internazionale Italia-Ungheria, vinta dagli azzurri per 3 a 2, con un gol del povero e bravissimo Renato Cesarini, che segnò negli ultimi secondi della partita, creando la "zona" che ancor oggi viene definita con il suo nome.

A causa dei bombardamenti aerei del periodo bellico il campo del Filadelfia subì danni ingenti, fu cioè considerato glorioso mutilato di guerra. Il presidente comm. Novo, con l'aiuto federale e di facoltosi esponenti della Società, dedicò una radicale opera di riparazione e restituì all'impianto la sua funzionalità.

Il Grande Torino conquistò al Filadelfia talune delle sue più brillanti vittorie. Nella partita Torino-Lazio del 30 maggio 1948 la squadra risalì un passivo di 0 a 3 e si impose per 4 a 3. Per gli amanti delle statistiche: il campo conservò la sua imbattibilità, sia pure con la parentesi dell'inattività bellica, dal 31 gennaio 1943 fino al 6 novembre 1949.

A pochi metri dal terreno di gioco, che presentava una visualità quasi perfetta, stavano gli spettatori, cioè premeva il "tifo": più la squadra era in difficoltà più il "tifo" aumentava. Una folla che amava i suoi colori e dimenticava qualunque cosa per essi. Quando i granata si scatenavano all'attacco in certi "quarti d'ora" il pubblico si alzava in piedi e l'incitamento era un coro possente, un urlo indescrivibile, Alzi la mano chi non ricorda Bosia, il capo dei tifosi granata, e il suo famoso grido "Alè Campioni", e la tromba del capostazione Bolmida, che suonava la carica.

Ormai il Filadelfia accenna chiaramente l'evidente oltraggio degli anni e un giorno sarà abbattuto. La realtà prevale sui sogni della giovinezza lontana, sui sogni dove ormai è difficile separare la generosità dalla retorica.

Ritornammo al Filadelfia qualche giorno dopo Superga. Erano presenti ventimila persone. I posti popolari erano stipati come nei grandi giorni della grande squadra. Contro il Genoa avrebbero giocato i ragazzi che godettero degli insegnamenti e del tenace lavoro del povero Lievesley: Vandone, Motto, Mari, Macchi, Giuliano, Ferrari, Lussu, Francone, Gianmarinaro, Marchetto, Balbiano. L'istante in cui dai gradini del sottopassaggio, invece della bionda testa di Capitan Valentino, era spuntato il viso di un ragazzo.

Chiedo scusa: non posso proseguire.

Giovanni Balma



http://cdg-iniziative.blog.aruba.it/

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