venerdì 29 maggio 2009

17/05/09 - FILADELFIA, MAGIA E MISTERO DI UNO STADIO DA LEGGENDA

Scritto da : libellus1
Nel numero 1 della raccolta “Torino, il mito e i campioni” [editoria - 41] si può apprezzare lo splendido articolo di Gian Paolo Ormezzano sul Filadelfia, che ho deciso di inserire perché, senza voler fare pedante retorica sulle antiche gesta, nessun simbolo di “granatismo” è più azzeccato del vecchio “Fila”, e perché ogni testimonianza di esso, nobile o umile che sia, serve a comprendere come davvero questo luogo fosse speciale in assoluto. Oramai, in attesa di tempi migliori, l’unico sforzo possibile è descriverlo a chi personalmente non l’ha frequentato. Ricordo altri brani sull’argomento contenuti in questo blog: “A tre passi dalla rete (postato il 1° ottobre 2008, che potrete trovare in archivio)”, di Giovanni Arpino, e “Rosato (postato il 28.12.2008)” di Vladimiro Caminiti, oltre a diverse immagini dell’album Cartoline I (molte, purtroppo, al momento sono solo riproduzioni). Altri scorci dello stadio si intravedono in alcune figurine. Bella in particolare quella di Beniamino Santos, con la tribunetta in legno sullo sfondo.

“Il caso del Filadelfia – della persistenza più che resistenza dello stadio di così tanta leggenda nei riguardi del divenire del calcio moderno, della sopravvivenza di un mito che di taluni intride la vita ben più che venire da essa intriso – è molto singolare: perché trattasi soprattutto di un caso di fortissima tradizione orale, supportato da poca documentazione visiva, e con documentazione scritta così sempre eguale a se stessa che potrebbe risultare noiosa. Adesso poi non c’è neppure la possibilità di mettere in programma la visita al monumento. Lo stadio, chiamato Filadelfia dal nome della via su cui sta o anzi stava la sua entrata principale non esiste più se non per alcuni monconi comandati dalla memoria architettonica. La sua gente, quella strana tribù di poeti da campo che rinfrescavano narrandole le gesta dei loro campioni, non avendo più il posto dove riunirsi, si è sparpagliata chissà come per la città, e probabilmente senza possibilità di nuova agglomerazione, e fisiologicamente sotto condanna di invecchiamento e fine fisica. Manca la possibilità, prima comoda, di agganciare un ricordo ad un pezzo di casa, tipo: <<>>.

Eppure la leggenda del Filadelfia continua, è bella spessa, bella intensa, bella forte, bella calda, persino bella fideistica. L’idea della sua ricostruzione è dopante, per i tifosi granata, molto più dell’idea dell’ingaggio dei migliori calciatori del mondo. L’ipotesi della ricostruzione basta da sola fra i tifosi granata a svecchiare gli anziani e a far maturi i giovani.

Ogni leggenda porta con sé un bel po’ di mistero, ma questa del Filadelfia di mistero è fatta, nutrita, conservata, cresciuta.

Si dice, con assoluta serietà, che giocare di nuovo al Filadelfia significherà, per il Toro prossimo venturo, partire con un vantaggio di 10 punti a campionato. Già questo dovrebbe bastare ad enunciare la forte quota di mistero, e ad esimere nei riguardi di esso da una esplorazione che potrebbe risultare blasfema. In fondo, al mistero si era arreso anche un pragmatico, un praticoide come Nereo Rocco, che quando allenava il Torino parlava di fantasmi volitanti sul presente, con le ombre del passato a condizionare tutto, ad oscurare anche l’eventuale bello, che comunque non poteva essere più bello del bello di prima”.

“Un calciatore quasi gracile, Giuliano Giovetti, che aveva giocato nel Modena e nel Como ed era arrivato al Toro quando rovente era ancora la memoria del Grande Torino, un centravanti di buone doti tecniche ma di nessun tremendismo fisico, ha detto che spesso, giocando al Filadelfia, gli accadeva di segnare senza accorgersene, come risucchiato in porta dalla voglia di gol della gente granata. Il momento della partita era per lui e i suoi compagni di squadra come il terminale della lunga seduta medianica tenuta con quelli di Superga, negli allenamenti pestando la loro stessa erba, nell’antistadio frequentando la gente che li aveva frequentati.

Il Filadelfia come posto di misteri dovrebbe per dogma funzionare anche nell’algido football attuale: di questo non esiste il minimo dubbio nei cuori e nei cervelli della gente granata antica e anche di quella nuova. Vogliosi di esoteria di massa (non c’è contraddizione fra i due termini, basti pensare al proliferare di maghi, se non di magie), i giovani ultras di oggi chiedono la restituzione del Filadelfia come si chiede quella di una reliquia enorme, da abitare e non solo da mettere in bacheca. L’industrializzazione del calcio moderno, i suoi criteri spinti di operatività assoluta, fanno per contrasto nascere questa vogliosità di mistero che risolve i problemi ed accorcia le strade.

I giovani non sanno che il Filadelfia era uno stadio tanto caro quanto decrepito, a cominciare dalla lignea tribuna che sembrava cascarti addosso, e che una delle sue caratteristiche principali, cioè il permettere l’esodo della gente, nell’intervallo, da una curva all’altra per andare dietro al portiere avversario e vedere perciò meglio i gol della propria squadra, nella fattispecie quella granata, adesso non potrebbe essere conservata, per le cosiddette ragioni di sicurezza. Le reti di allora dovrebbero essere rinforzate e disumanizzate, erano da giardino e dovrebbero diventare (e diventeranno?) da penitenziario nel nuovo calcio dai grandi interessi e perciò – dicono – delle grandi passioni.

Sì, gran parte del fascino del Filadelfia dipende secondo noi proprio dal mistero, che implica la irripetibilità, e dunque la unicità. Dipende dalla tradizione orale, che si orpella sempre più, contrariamente a quella scritta e adesso anche elettronica che si cristallizza, si fissa, si fossilizza nella sua stessa algida perfezione documentaristica. Dipende da noi che di questa tradizione siamo sherpa ma soprattutto giardinieri. Dipende dai nostri sospiri che sono sempre più sospiri. Bisogna fare in fretta a ricostruirlo, perché si possano istruire in tempo i figli ed i nipoti. La magia di certi posti non finisce mai, ma sempre più difficile è narrarla, anche per gelosia nei riguardi di essa e rabbia nei riguardi del resto”.

Gian Paolo Ormezzano.

Nessun commento:

Posta un commento