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Nel giorno dei sessant'anni dalla tragedia di Superga
CALCIO - «Presidente, stia tranquillo. Sono in ottima forma». Lo sguardo di don Aldo Rabino si concentra sulla prima fila, fissa gli occhi di Urbano Cairo. Sia pur lasciando in pace le maniche della veste, le sue parole hanno la forza di rievocare quel gesto con cui Valentino Mazzola faceva tremare gli avversari. L’omelia del cappellano del Torino rimbomba fuori dalla basilica di Superga come uno squillo di tromba. Suona la carica, don Aldo. Dando il via a quello che, ieri pomeriggio, è stato il “quarto d’ora” del popolo granata. Come ogni anno, centinaia di tifosi. Come ogni anno, la pioggia. Assurta a simbolo di una giornata «dove è impossibile che il cielo non pianga i nostri eroi, lui che se li è portati via», dicono i tifosi. Davanti al megaschermo i ragazzi delle giovanili del Toro ascoltano composti, dentro la basilica i familiari dei campioni d’Italia, i vertici della società, la squadra. Dopo la lettura della seconda lettera ai Corinzi, affidata ad Ossola, il Vangelo. Poi le parole di fuoco dell’omelia. Impossibile per don Aldo ricordare un anniversario - il sessantesimo dalla tragedia - senza chiedersi «cosa si nasconde dietro al mistero di una disgrazia, ad una tragedia infinita che continua a riproporre un’infinita voglia di vita». Ma, soprattutto, «dove è il campo, lo stadio di quella squadra?». Già, il Filadelfia. Quello stadio di cui un turista, pochi giorni fa, ha chiesto proprio a don Aldo, rimanendo sgomento alla risposta. «Il Filadelfia non c’è più». Il Toro è senza una casa, se non di ruderi. «Senza il ritorno alle radici non ci può essere storia, senza una casa non ci può essere famiglia» continua don Aldo, portando l’attenzione anche sul futuro dello stadio Delle Alpi, demolito dopo nemmeno vent’anni, e i monumentali impianti olimpici. «Ma il Filadelfia dov’è?» si domandano i granata facendo da contrappunto alle parole del sacerdote, rompendo il silenzio attento con uno scrosciante applauso. «Vergogna, a quelli là tutto e a noi mai niente» commenta indispettita una signora, evitando di citare persino il nome «di quell’altra squadra». L’attacco è portato a segno, sui volti dei tifosi granata si distende un sorriso. «Ha detto bene il prete». Lo spazio per le polemiche sugli arbitraggi è limitato al minimo, ma la stoccata è servita con classe. «Torti e favori non si bilanciano» chiosa don Aldo. Il richiamo all’unità, fatto proprio dal presidente al termine della cerimonia davanti alla lapide dei caduti, diventa una richiesta chiara e diretta a Cairo. Più “tremendismo”, meno equilibrismo. Meno voci di corridoio su possibili vendite o sedicenti milionari pronti a comprare la squadra, «più rispetto per i tifosi». Il grazie di don Aldo va poi ai giocatori, al suo nuovo allenatore «per aver detto di sì a poche giornate dalla fine del campionato, mettendoci la faccia». Sarà lui, Giancarlo Camolese, la «pietra angolare su cui costruire un grande futuro»? Se la grazia per evitare la retrocessione la si chiede alla Madonna, la preghiera per un miracolo è affidata ancora una volta al presidente. «Presidente, noi la ringraziamo per avere salvato la squadra dal fallimento, per aver reso sana la società. Ma ora serve il miracolo maggiore, ricostruire il Filadelfia».
Enrico Romanetto
http://torino.cronacaqui.it/news-don-aldo-a-cairo-serve-un-altro-miracolo-per-il-filadelfia-_21854.html
Nel giorno dei sessant'anni dalla tragedia di Superga
CALCIO - «Presidente, stia tranquillo. Sono in ottima forma». Lo sguardo di don Aldo Rabino si concentra sulla prima fila, fissa gli occhi di Urbano Cairo. Sia pur lasciando in pace le maniche della veste, le sue parole hanno la forza di rievocare quel gesto con cui Valentino Mazzola faceva tremare gli avversari. L’omelia del cappellano del Torino rimbomba fuori dalla basilica di Superga come uno squillo di tromba. Suona la carica, don Aldo. Dando il via a quello che, ieri pomeriggio, è stato il “quarto d’ora” del popolo granata. Come ogni anno, centinaia di tifosi. Come ogni anno, la pioggia. Assurta a simbolo di una giornata «dove è impossibile che il cielo non pianga i nostri eroi, lui che se li è portati via», dicono i tifosi. Davanti al megaschermo i ragazzi delle giovanili del Toro ascoltano composti, dentro la basilica i familiari dei campioni d’Italia, i vertici della società, la squadra. Dopo la lettura della seconda lettera ai Corinzi, affidata ad Ossola, il Vangelo. Poi le parole di fuoco dell’omelia. Impossibile per don Aldo ricordare un anniversario - il sessantesimo dalla tragedia - senza chiedersi «cosa si nasconde dietro al mistero di una disgrazia, ad una tragedia infinita che continua a riproporre un’infinita voglia di vita». Ma, soprattutto, «dove è il campo, lo stadio di quella squadra?». Già, il Filadelfia. Quello stadio di cui un turista, pochi giorni fa, ha chiesto proprio a don Aldo, rimanendo sgomento alla risposta. «Il Filadelfia non c’è più». Il Toro è senza una casa, se non di ruderi. «Senza il ritorno alle radici non ci può essere storia, senza una casa non ci può essere famiglia» continua don Aldo, portando l’attenzione anche sul futuro dello stadio Delle Alpi, demolito dopo nemmeno vent’anni, e i monumentali impianti olimpici. «Ma il Filadelfia dov’è?» si domandano i granata facendo da contrappunto alle parole del sacerdote, rompendo il silenzio attento con uno scrosciante applauso. «Vergogna, a quelli là tutto e a noi mai niente» commenta indispettita una signora, evitando di citare persino il nome «di quell’altra squadra». L’attacco è portato a segno, sui volti dei tifosi granata si distende un sorriso. «Ha detto bene il prete». Lo spazio per le polemiche sugli arbitraggi è limitato al minimo, ma la stoccata è servita con classe. «Torti e favori non si bilanciano» chiosa don Aldo. Il richiamo all’unità, fatto proprio dal presidente al termine della cerimonia davanti alla lapide dei caduti, diventa una richiesta chiara e diretta a Cairo. Più “tremendismo”, meno equilibrismo. Meno voci di corridoio su possibili vendite o sedicenti milionari pronti a comprare la squadra, «più rispetto per i tifosi». Il grazie di don Aldo va poi ai giocatori, al suo nuovo allenatore «per aver detto di sì a poche giornate dalla fine del campionato, mettendoci la faccia». Sarà lui, Giancarlo Camolese, la «pietra angolare su cui costruire un grande futuro»? Se la grazia per evitare la retrocessione la si chiede alla Madonna, la preghiera per un miracolo è affidata ancora una volta al presidente. «Presidente, noi la ringraziamo per avere salvato la squadra dal fallimento, per aver reso sana la società. Ma ora serve il miracolo maggiore, ricostruire il Filadelfia».
Enrico Romanetto
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