martedì 5 maggio 2009

04/05/09 - Intervista a Sauro Tomà

Sauro Tomà, la voce dei Campioni

http://www.tuttotoro.eu/articolo.php?id=13878&cat=8&scat=3

OGGI POMERIGGIO SUL NOSTRO GIORNALE WEB TUTTOTORO LA DIRETTA DA SUPERGA PER IL 60° ANNIVERSARIO DEL GRANDE TORINO

Sauro Tomà è nato a La Spezia il 4 dicembre 1925, terzino-mediano di classe disputò nel Torino 77 incontri tra il 1947 ed il 1951, prima di vestire le maglie di Brescia, Carrarese e Bari e ritirarsi a soli 30 anni causa problemi al ginocchio destro che ne limitarono la carriera, ma …… gli salvarono la vita, impedendogli di salire sull’aereo per quella trasferta a Lisbona, l’ultimo viaggio del Grande Torino.

E’ autore di libri, il più toccante dei quali è indubbiamente "ME GRAND TURIN", dove si racconta la storia della squadra considerata all’epoca la più forte del Mondo; viene ricordato l’unico superstite del Torino di Mazzola e Gambetto, ma in realtà ci fu un altro granata che non partecipò a quella trasferta, il secondo portiere Renato Gandolfi, che lasciò il posto al più giovane dei fratelli Ballarin, Dino, all’epoca terzo portiere, che prese posto in sua vece sull’aereo schiantatosi a Superga.

Oggi Tomà è una splendida persona, un arzillo vecchietto direi se non temessi di sembrare erroneamente poco rispettoso nei suoi confronti, colmo di simpatica cortesia, sempre pronto a rispondere a domande e curiosità di chi non ha vissuto quel tempo se non attraverso immagini da cineteca o documenti scritti.

- Sono con la leggenda del Toro, Sauro Tomà, e per me che sono nato con la "pelle granata" cucita addosso è davvero un’enorme emozione essere qui seduto vicino ad uno dei Campionissimi.

Ti ringrazio delle tue parole, perché sono dette con il cuore.

- Sono io che ringrazio lei e ringrazio questi ragazzi di Bruino che hanno organizzato questa serata.

Hai ragione, è davvero una splendida festa.

Tomà, tra qualche giorno ricorrono i sessant’anni dalla tragedia di Superga, immagino le migliaia di domande che le saranno state rivolte su quella squadra, sui suoi compagni, su quegli uomini.

E’ così, e la cosa succede giornalmente; io abito vicino al Filadelfia e quando esco non manca mai qualche tifoso che mi ferma, mi saluta, persino dai balconi o dalle finestre: "ciao Tomà" e io li invito a scendere, per me sono soddisfazioni, ed ho sempre qualche fotografia da autografare e regalare; vedendo me magari vedono Mazzola, Gambetto, vedono tutti i giocatori di quella squadra.

- Sembra quasi che ci sia stata una mano divina che ha voluto lasciare un testimone di quella squadra.

Sì, sì, effettivamente sembra davvero che le cose stiano così.

Quanti anni ha giocato nel Torino?

Sono arrivato a Torino nel ’47 e ci sono rimasto sino al ’51, mi ero infortunato al ginocchio, che mi dava grossi problemi, tanto che non lo piegavo più bene e pareva non potessi più giocare. Nel ’51 sono andato al Brescia e lì ho trovato un medico che mi ha curato e sono riuscito a giocare 24 partite.

Da Brescia sono poi passato alla Carrarese, dove avevo Rava (l’ex terzino, Campione del Mondo) come allenatore che mi faceva giocare da mediano anziché da terzino, evitando scatti e movimenti che avrebbero potuto darmi problemi.

- Qual’era la vera forza di quel Torino?

Era l’unione dello spogliatoio, di cui Mazzola era il leader; e c’era il Presidente Novo, che era oltre che competente, un gran signore. Quando dovevo venire al Torino sono andato da lui a presentarmi e le sue parole sono state: "Sauro, di te voglio fare un campione, voglio che tu arrivi al livello dei tuoi compagni più famosi". Io gli risposi che sarei venuto volentieri al Torino, ma che volevo sposarmi dato che ero fidanzato da qualche anno, dai tempi della guerra quando io lavoravo all’arsenale di la Spezia, e lui mi disse "vieni, poi ti do il permesso di sposarti" e così andò.

Novo era davvero una gran persona, veniva spesso nello spogliatoio e parlava con tutti noi.

- Il Torino, in quegli anni difficili del dopo guerra fu la prima squadra italiana a ridare speranza ad una nazione sconfitta; c’era distruzione ovunque ed il Torino era visto come un simbolo di riscatto.

Durante la guerra ero giovane, dopo l’otto settembre non si sapeva bene cosa fare, da una parte c’erano i partigiani, dall’altra i repubblichini; erano stati momenti difficili, davvero brutti, e il Torino che vinceva anche con la maglia della Nazionale, all’estero, era davvero nel cuore di tutti.

- Con chi aveva legato di più tra i suoi compagni?

Con tutti quanti, eravamo insieme anche fuori dal campo, anche se Valentino Mazzola è colui che mi ha dato il più grande aiuto e ricordo in campo, quando si avvicinava e mi chiedeva: "Sauro posso andare avanti?" e io rispondevo: "vai pure avanti Valentino".

Mazzola era un campione incredibile, calciava con entrambi i piedi e pareva non facesse nessuno sforzo; le nostre ali, Menti e Ossola, rientravano a centrocampo, si facevano vedere e scattavano, Valentino li serviva con precisione, toccava il pallone con il collo del piede in maniera straordinaria.

- Il Filadelfia oltre ad essere la casa di quel Toro è stata la casa di molte altre generazioni granata e aver perso la propria casa è stato per il Torino come perdere l’anima.

Il Fila era unico, con le case intorno e la gente che ci vedeva dai balconi urlando "Forza Toro", gli spettatori erano sempre di più rispetto quelli che conteneva lo stadio.

- Come si viveva nello spogliatoio del Fila?

Benissimo, eravamo davvero tutti amici, credimi, c’era Egri Erbestein, l’allenatore, che era un vero signore; Ottavio Cortina, il massaggiatore; eravamo un po’ come una famiglia.

E di questo Torello con le corna spuntate di oggi cosa mi dice?

Bisognerebbe tornare di nuovo al Fila, con la gente più vicina alla squadra, era una festa popolare a quei tempi.

- Forse bisognerebbe ricreare quello spogliatoio, cioè ricreare lo spirito di un Toro che dai ragazzini alla prima squadra si alleni nello stesso posto, dove ci sia spirito di emulazione, voglia di arrivare; oggi il Toro paga questa mancanza?

E’ la chiarezza che ci deve essere nello spogliatoio; perché se c’è chi usa vie traverse, chi è ruffiano, gente che fa il doppio gioco, tutto sparisce; ci vuole invece sincerità, unione.

Credo ai nostri tempi che tanto del merito fosse del Commendator Novo; anche il fatto che Mazzola guadagnasse di più degli altri non creava invidia e malcontento, perché capivamo che Mazzola era colui che ci faceva vincere le partite.

- Quando tirava su le maniche …..

Era un fenomeno, aveva tutto, e un fisico davvero impressionante.

Mi racconta qualche aneddoto?

Giocavamo in casa contro la Lazio, dopo 20 minuti perdevamo 3-0, 3-2 alla fine del primo tempo; Novo venne nello spogliatoio per strigliarci e svegliarci, tornammo in campo e Mazzola ci trascinà alla vittoria per 4-3.

Mi racconta anche della tourné in Brasile, del viaggio su un vecchio Dakota e di come all’arrivo fossero stravolti; dei quattro incontri disputati con una sola vittoria, un pari e due sconfitte; mi dice della forza e bravura dei brasiliani e di quanto le ragazze fossero belle, e sorridendo dei cuori che infransero!

- Caro Tomà la ringrazio di questo tempo dedicato a me, a Tuttotoro e ai nostri lettori, augurandomi di rivederci presto per un’altra bella chiacchierata.

Grazie a te, a voi, è stato un vero piacere.

Finisce così quest’emozionante incontro e mi scuso per la lunghezza, ma valeva la pena non perdere e far perdere a tutti i dettagli di quanto ci è stato raccontato da chi ha vissuto la splendida leggenda del Grande Torino.

Maurizio Vigliani
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(di Ermanno Eandi)

17 dicembre 2008

Sauro Tomà (La Spezia, 4 dicembre 1925) è un ex calciatore italiano, di ruolo terzino. È uno dei due soli superstiti del Grande Torino degli anni quaranta.

Arrivò al Torino nel 1947 proveniente dallo Spezia e scampò alla tragedia di Superga a causa dei postumi di un infortunio al menisco, che lo costrinse al ritiro a soli 25 anni, nel 1950.
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(Prima parte)





http://www.youtube.com/watch?v=ofmZXaKW6cE

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(Seconda parte)





http://www.youtube.com/watch?v=PMClBlIaqVg
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(Terza parte)




http://www.youtube.com/watch?v=wwitIWecmIA

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