domenica 3 maggio 2009

03/05/09 - Giorgio Albertazzi: "L'emozione di entrare al Fila Ma che tristezza quel degrado"

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03/05/09 REPUBBLICA TORINO Intervista a Giorgio Albertazzi: "L'emozione di entrare al Fila Ma che tristezza quel degrado" - Turco Fabrizio
http://rassegnastampa.comune.torino.it/orazionet/Rassegne/COMUNE%20TORINO/05/93719696.pdf

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Repubblica — pagina 17 sezione: TORINO

QUEL giorno, quell' orribile 4 maggio 1949, aveva ventisei anni da compiere, una laurea in architettura in tasca e una vita vissuta già alle spalle, fatta di due anni di carcere per collaborazionismo con l' accusa di aver aderito giovanissimo alla Repubblica di Salò. Proprio in quelle settimane Giorgio Albertazzi stava per debuttare in teatro. Per l' esordio, al Maggio Musicale Fiorentino, gli capitò Shakespeare, mica una robetta da ridere. Una parte in "Troilo e Cressida", tragedia in cinque atti per la regia di Luchino Visconti, che narra la morte dell' eroe troiano Ettore. Da un eroe ad un altro, ecco Valentino Mazzola: 55 anni dopo, nel 2004, e dopo una carriera ricca di grandi interpretazioni, eccolo in "Orae per sempre", il film diretto da Vincenzo Verdecchi (tra gli altri interpreti Gioele Dix, Kasia Smutniake Felice Andreasi) su soggetto e sceneggiatura di Carmelo Pennisi e Massimiliano Durante: per i tifosi granata è un cult irraggiungibile. E per lui rappresenta l' occasione per chiudere il cerchio: interpreta il ruolo di un tifoso granata, l' amico del trombettiere del Filadelfia, l' uomo della tromba di Bolmida, mica uno qualsiasi. Sessant' anni tondi dopo la tragedia, Albertazzi ricorda tutto come fosse ieri. Maestro Albertazzi, cosa le è rimasto dentro di quel film? «Una grandissima emozione, fu un gran bel film che avrebbe meritato ben altra fortuna. Ma quello è uno di quei lavori che non tutti possono comprendere e capire fino in fondo. Un film difficile, di emozioni, di passioni, di un grande amore». Le è piaciuto interpretarlo? «Mi ha emozionato tanto. E il regista Verdecchi ha saputo trasmettere un grande sentimento; anche se non tutti possono cogliere queste grandissime emozioni». Cos' è per lei il Grande Torino? «Guardi, c' è una circostanza che mi lega a quella squadra fenomenale. Ero già grandicello quando giocai nella formazione riserve della Fiorentina. E sa come si chiamava la mia squadra?» Come? «Menti. La società decise di onorare il nome di un grande di Superga, Meo Menti. Io me lo ricordo ancora quando giocava: un po' ingobbito, sapeva segnare dal calcio d' angolo. E guardi che Mortensen, che grazie a quei gol divenne celebre, aveva imparato da lui. Solo a ricordare e a pensarci mi emoziono come allora». Come seppe della tragedia di Superga? «Fu un annuncio drammatico. Ricordo che ero fuori casa quando vidi un ragazzo disperato che correva su e giù per la strada. Urlava che era caduto l' aereo del Grande Torino, ma non mi sembrava possibile». Cos' altro ricorda? «Ricordo il silenzio incredibile di quei momenti. Com' era possibile che l' aereo fosse caduto? E invece era possibile, purtroppo». Lei per girare "Ora e per sempre" è andato anche al Filadelfia. Che emozione è stata calcare - dopo i teatri più importanti al mondo - anche il prato degli Invincibili? «Pensi che ero così emozionato che quasi non stavo in piedi. Poi feci quattro o cinque corse su e giù in quell' erbaccia alta quaranta centimetri e alla fine - per il film - segnai. Feci un gran gol, all' incrocio dei pali. Però che desolazione vedere quel mitico campo ridotto così». Lo sa che i tifosi granata trattano quel prato come un frammento sacro, come una reliquia? E che adesso è stato di nuovo ripulito? «Sono tifosi straordinari, unici. Solo persone così possono vivere e interpretare certe emozioni».
- FABRIZIO TURCO

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