Repubblica — pagina 22
TORINO - Il mazzo di rose rosse lo mettevano qui, proprio al centro del campo dove ora cresce l' insalata, un grosso cespo con dei ciuffi di girasole attorno. Il prossimo quattro maggio sarà meglio portare i fiori solo a Superga, almeno la basilica non l' ha sprangata nessuno, almeno sulla collina i ricordi hanno ancora l' aria attorno, volano liberi e leggeri. Non come qui dentro, nel Filadelfia blindato e vuoto. Non come sul prato di Valentino Mazzola, dove l' erba mezza morta è già alta quindici centimetri, dove chiazze marroni stanno soffocando tutte le tonalità del verde. La gramigna corre e copre la leggenda, forse non succede solo nella fabbrica dei vecchi scudetti. C' è un portone sbarrato, su via Filadelfia. E mucchi di immondizia, scarpe rotte, bottiglie, cocci di vetro. Poi entri e trovi il cortile di ghiaia deserto, ci rimbombano i passi, scricchiolano le scarpe e il cuore. Rumori di camion lontani, balconi di barriera. Questa non è più la casa del Toro. La storia (Mazzola, Meroni, Ferrini, Pulici) e la cronaca (gli allenamenti, i ragazzi del vivaio, la vita quotidiana della squadra più speciale del mondo) sono stati sfrattati a luglio da Gianmarco Calleri, il presidente. I giovani vanno ad Orbassano Adesso i granata si allenano a Orbassano a porte chiuse, ospiti della Sisport Fiat dove l' anno scorso correvano Baggio e il Trap. "Ci vanno gratis in cambio di Fusi" dice il tifoso solo, stanco di un romanticismo d' illusione, stufo di una fede che è un vuoto a perdere. E sospettoso di questa strana intesa tra bianconeri e granata, tra mercato e alleanze contro il nuovo stadio: del resto, evitando il fallimento, Calleri ha salvato la Juventus dal concorso in bancarotta fraudolenta. E certi favori non si fanno per niente. Il tempio crolla, meglio camminare guardando in sù. Penzolano i cornicioni, non si sa mai. Il tempio non l' ha aggiustato nessuno: costava troppo. Già, ma sempre meno di Rizzitelli. Sul muro d' ingresso c' è una scritta, "Calleri chi sei?". Buona domanda. Nel fortino abbandonato è rimasta un' ultima sentinella, la signora Carla. La custode. La magazziniera. La lavandaia. La cuoca. Quella che a mezzogiorno riempiva l' aria polverosa col profumo di cipolle e spezzatino. Quella che Calleri ha convocato un giorno per dirle: vede, i miei predecessori hanno rovinato tutto, io non ho più una lira e devo risparmiare, arrivederci e grazie. Poi le ha proposto un lavoro part-time a 900mila il mese, lei al Filadelfia ci abita da sei anni, lei è separata con due figli grandi a carico, lei una casa nuova non la può mica trovare. Così è rimasta, come quei soldati giapponesi sepolti nell' ultima trincea: qualcuno dovrà dirle che la guerra è finita, Carla forse risponderà che certi combattimenti con la vita non finiscono mai, c' è sempre il deserto e ci sono sempre i tartari, prima o poi arrivano, a volte ritornano. Anzi, sono già arrivati. Era un pomeriggio d' estate. Quel giorno svuotarono il Filadelfia. Ecco cos' è rimasto: le due stanze di Carla sotto la tribuna puntellata, vicino al camerone dove stanno la ruota e l' elica storta di Superga accanto a un armadio con i vasetti di conserva, sotto una scala di legno e un telone trasparente. Poi una porta col vetro sottile, la sera Carla dà tre giri di chiave, chiama in casa i sei gatti e lascia fuori il cane lupo. Poi aspetta. Ha paura. Scavalcano quasi sempre verso le dieci, quelli con le siringhe. Si piazzano sotto la gradinata e si bucano. Un salto oltre il muro e oplà, ogni tanto bussano, lei e i ragazzi si guardano e sperano. Invece sabato pomeriggio sono arrivati gli anarchici del gruppo "Chinino", hanno occupato il campo per una partitella dimostrativa, poi la questura li ha fatti sloggiare. Niente scontri: volevano soltanto fare pubblicità a un loro giornaletto. Sempre meglio loro dei camion che svuotano gli stanzoni. Gli spogliatoi devastati Quelle camere. Fotografie del degrado, dell' abbandono. Lo spogliatoio della prima squadra è pieno di cartaccia, sottopiedi, buste aperte, stracci sporchi. Nell' infermeria c' è uno scheletro di macchina per cucire. Una sedia. Le piastrelle con gli autografi. Una bandiera in terra. Una valigia sfondata, piena di tacchetti d' acciaio. Le borse granata ammucchiate nella sala dei trofei, la chiamavano la sacrestia, sulla parete c' è un ramoscello d' ulivo. Qui è passato Attila o forse Dario Argento. Poi la lavanderia con i macchinari nuovi e immobili, con il pavimento che Goveani fece sistemare perchè correvano fili scoperti e qualcuno poteva lasciarci la pelle. Adesso, le maglie dei ragazzi le lavano le loro madri. Devono stare attente a non togliere il cerotto rosso appiccicato per coprire il vecchio sponsor, una toppa sul petto e sul cuore. Non ci sono più le divise appese in cortile ad asciugare, quelle che sembravano vele gonfie di vento per un galeone sempre pronto a salpare, nella burrasca di qualche sogno. Non le guardano più i vecchietti del tifo, anche il loro viaggio è finito. Avevano un grande albero e una panchina, una sola per tutti, la dividevano insieme al tempo, alle parole del ricordo. Adesso hanno sedie e divani, hanno case calde ma non è la stessa cosa.
- di MAURIZIO CROSETTI
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