Repubblica — pagina 34
ADESSO che l' avventura americana è finita si può riparlare di calcio - non soltanto di quello giocato come direbbero gli esperti - senza essere accusati di anti-patriottismo per il solo fatto di avere pensato che quel Sacchi sembra un Berlusconi in vacanza premio. Dunque si può rispolverare una vecchia questione che risale niente meno che ai Mondiali ' 90 con tutto il loro carico tangentizio che qualcuno dovrà pur pagare quando i magistrati avranno detto - se glielo faranno dire - chi ha torto e chi ragione. Prendiamo il caso di Torino. Lo stadio Delle Alpi rischia di trasformarsi in un monumento allo spreco di cui si cercano, alla distanza di oltre quattro anni, i responsabili. Doveva costare 60 miliardi ma alla fine è costato il triplo. La società che lo ha costruito, l' Acqua Marcia del commendator Romagnoli, ancor prima del completamento dell' opera ha dato forfait ed ha passato la mano al gruppo Caltagirone. Doveva essere uno stadio senza pista di atletica, più piccolo, in una zona diversa e meglio accessibile. E' risultato il contrario di tutto questo. "Una scelta sciagurata" l' ha definita Agnelli che al Delle Alpi, nonostante la Juventus, ci va malvolentieri. E' bello, questo sì, ma poco pratico e soprattutto costoso. Di qui nascono i guai o meglio si subiscono gli effetti di una delle ultime allegre stagioni dell' ancien régime. La Pubbli-Gest, che gestisce il Delle Alpi, deve versare al gruppo Caltagirone o a chi per esso dopo i recenti trasferimenti di pacchetti azionari, un minimo annuo di 5 miliardi e ne spende altri 7 per manutenzioni. In tutto 12 miliardi che deve poi recuperare dalla Juventus e dal Torino in misura di 7 e 5 miliardi all' anno. Le due società calcistiche torinesi hanno sempre protestato contro questo eccessivo pedaggio. Ma con Boniperti e Goveani non si è mai andati oltre il mugugno, qualche minaccia, poi un aggiustamento. Ora il nuovo amministratore delegato della Juventus, Antonio Giraudo, e il neopresidente del Toro Gian Marco Calleri, non ci stanno più. Hanno fatto due conti e si sono accorti che con 12 miliardi l' anno in un lustro potrebbero costruirsi un nuovo stadio, più piccolo, più efficiente e tutto loro. Detto fatto hanno provveduto ad avviare qualche sondaggio nei comuni della prima cintura torinese e hanno trovato almeno quattro sindaci pronti a offrire loro terreni e quant' altro. Nascerà un nuovo stadio meno di dieci anni dopo la follia del Delle Alpi? La risposta dovrebbe essere no, perché in caso contrario qualcuno dovrebbe spiegare ai torinesi l' anomalia di una città che aveva ed ha ancora il piccolo stadio Filadelfia, carico di storia granata e di acciacchi, tiene in piedi il Comunale di cui non sa che farsene salvo pagare i costi di sopravvivenza e sognare ogni tanto improbabili trasformazioni in arena per concerti in un' epoca in cui i mega concerti sono al tramonto. E come se non bastasse ha sul groppone il Delle Alpi che divora quattrini e rende sempre meno, mentre rimane ancora insoluto il mistero di quei 60 miliardi diventati 180. Tre stadi di calcio e adesso un quarto in arrivo. Lo faranno, non lo faranno? Non ha importanza. Il solo fatto di averlo minacciato trasforma Torino in un posto dove, come direbbe Tahar Ben Jelloun, "la ragione ha un ruolo secondario". Altro che Mani pulite, qui è il cervello che non funziona più. Ora c' è chi insinua che se Berlusconi si espanderà anche nell' hinterland torinese la minaccia del nuovo stadio potrebbe perdere consistenza. Ma è un ragionamento macchinoso, un altro bizantinismo. Mentre si farebbe prima a chiarire una volta per tutte come e perché il Delle Alpi è costato 180 miliardi. E questo è un problema da magistrati.
- di SALVATORE TROPEA
ADESSO che l' avventura americana è finita si può riparlare di calcio - non soltanto di quello giocato come direbbero gli esperti - senza essere accusati di anti-patriottismo per il solo fatto di avere pensato che quel Sacchi sembra un Berlusconi in vacanza premio. Dunque si può rispolverare una vecchia questione che risale niente meno che ai Mondiali ' 90 con tutto il loro carico tangentizio che qualcuno dovrà pur pagare quando i magistrati avranno detto - se glielo faranno dire - chi ha torto e chi ragione. Prendiamo il caso di Torino. Lo stadio Delle Alpi rischia di trasformarsi in un monumento allo spreco di cui si cercano, alla distanza di oltre quattro anni, i responsabili. Doveva costare 60 miliardi ma alla fine è costato il triplo. La società che lo ha costruito, l' Acqua Marcia del commendator Romagnoli, ancor prima del completamento dell' opera ha dato forfait ed ha passato la mano al gruppo Caltagirone. Doveva essere uno stadio senza pista di atletica, più piccolo, in una zona diversa e meglio accessibile. E' risultato il contrario di tutto questo. "Una scelta sciagurata" l' ha definita Agnelli che al Delle Alpi, nonostante la Juventus, ci va malvolentieri. E' bello, questo sì, ma poco pratico e soprattutto costoso. Di qui nascono i guai o meglio si subiscono gli effetti di una delle ultime allegre stagioni dell' ancien régime. La Pubbli-Gest, che gestisce il Delle Alpi, deve versare al gruppo Caltagirone o a chi per esso dopo i recenti trasferimenti di pacchetti azionari, un minimo annuo di 5 miliardi e ne spende altri 7 per manutenzioni. In tutto 12 miliardi che deve poi recuperare dalla Juventus e dal Torino in misura di 7 e 5 miliardi all' anno. Le due società calcistiche torinesi hanno sempre protestato contro questo eccessivo pedaggio. Ma con Boniperti e Goveani non si è mai andati oltre il mugugno, qualche minaccia, poi un aggiustamento. Ora il nuovo amministratore delegato della Juventus, Antonio Giraudo, e il neopresidente del Toro Gian Marco Calleri, non ci stanno più. Hanno fatto due conti e si sono accorti che con 12 miliardi l' anno in un lustro potrebbero costruirsi un nuovo stadio, più piccolo, più efficiente e tutto loro. Detto fatto hanno provveduto ad avviare qualche sondaggio nei comuni della prima cintura torinese e hanno trovato almeno quattro sindaci pronti a offrire loro terreni e quant' altro. Nascerà un nuovo stadio meno di dieci anni dopo la follia del Delle Alpi? La risposta dovrebbe essere no, perché in caso contrario qualcuno dovrebbe spiegare ai torinesi l' anomalia di una città che aveva ed ha ancora il piccolo stadio Filadelfia, carico di storia granata e di acciacchi, tiene in piedi il Comunale di cui non sa che farsene salvo pagare i costi di sopravvivenza e sognare ogni tanto improbabili trasformazioni in arena per concerti in un' epoca in cui i mega concerti sono al tramonto. E come se non bastasse ha sul groppone il Delle Alpi che divora quattrini e rende sempre meno, mentre rimane ancora insoluto il mistero di quei 60 miliardi diventati 180. Tre stadi di calcio e adesso un quarto in arrivo. Lo faranno, non lo faranno? Non ha importanza. Il solo fatto di averlo minacciato trasforma Torino in un posto dove, come direbbe Tahar Ben Jelloun, "la ragione ha un ruolo secondario". Altro che Mani pulite, qui è il cervello che non funziona più. Ora c' è chi insinua che se Berlusconi si espanderà anche nell' hinterland torinese la minaccia del nuovo stadio potrebbe perdere consistenza. Ma è un ragionamento macchinoso, un altro bizantinismo. Mentre si farebbe prima a chiarire una volta per tutte come e perché il Delle Alpi è costato 180 miliardi. E questo è un problema da magistrati.
- di SALVATORE TROPEA
Nessun commento:
Posta un commento