Note di Manlio COLLINO
Al Filadelfia negli anni '40 e '50 c'era sempre una piccola folla di "meno abbienti" che restavano fuori, in strada, perchè non avevano i soldi del biglietto, e aspettavano l'ultimo quarto d'ora, quando li lasciavano entrare gratis. Allora irrompevano nel parterre come un'onda di piena, ed erano una specie di segnale orario. Chi era dentro e non aveva l'orologio capiva, vedendoli entrare, che il Toro aveva solo più un quarto d'ora da resistere, se vinceva, o da sperare, se inseguiva.
Prima della partita molti già allora cercavano di scavalcare il muro, altri s'arrampicavano per alberi e grondaie, o facevano la guardia fin dal mattino a certi buchi preziosi nei cancelli da cui si poteva sbirciare una fetta di campo.
E i fortunati dei palazzi? Quelli che abitando in Via Spano o Filadelfia, dietro le porte, potevano godersi la partita gratis? Si capiva benissimo che ricevevano ospiti per l'occasione (qualcuno magari li faceva anche pagare, chissà...) perchè ogni finestra, ogni balcone era una siepe d'occhi, e quelli dei piani bassi salivano sui tetti, a guardare in piedi.
Gli squattrinati nella via, invece, si accontentavano di far capannello intorno a chi spiava dai buchi, o passeggiavano su e giù nervosi, con l'orecchio teso agli urli della folla, urli che avevano imparato a decifrare alla perfezione. Non c'erano ancora le radioline, allora, e neanche la trasmissione "Tutto il calcio minuto per minuto" con le mitiche interruzioni "scusa Ciotti, scusa Ameri...". C'era solo la "radiocronaca di Niccolò Carosio" di una partita unica, scelta fra tutte, con l'aggiornamento da studio, ogni tanto, dei risultati dagli altri campi.
Eppure, anche senza radio, il telegrafo senza fili della solidarierà tifosa funzionava alla perfezione fra la strada e il bordo superiore della gradinata. Se il boato era da goal, da sotto non avevano neppure bisogno di chiedere "chi a l'ha segnà?" che da sopra arrivava già la risposta: "Bacci, con la colombarda (la testa)" - "E chi a l'ha dàilo?" - "Bertolon, da snistra". Se l'urlo era da fallo avversario in area, chiedevano dettagli: "Chi a l'han rëssià? (chi hanno segato?)" - "L'han faje trapëtta al cruch (Buhtz)" - "Oh, contàcc, e chi a l'é stait?" - "Cervato, col bastard" - "Cola bruta pleuja? Alora a l'é rigor!" E arrivavano persino a fischiare dalla via, a insultare l'arbitro, quasi per convincersi d'esser dentro anche loro, e patire un po' meno. "Chi a lo tira, 'l rigor?" - "Sempe chiel, ël cruch!" E all'urlo inconfondibile del goal la folla in strada si abbracciava, e saltellava, e i loggionisti, in alto, dovevano aspettare che si calmasse per spiegare com'era entrato il pallone, rasoterra, in alto, a destra, a sinistra...
Nel dopoguerra i tifosi arrivavano allo stadio a piedi (la bici la usavano i giocatori...) da chilometri di distanza, senza soldi in tasca, e per "figurarsi" la partita avevano fessure di cancelli, orecchie e fantasia, non Tv con replay e moviole. C'era un che di religioso in quei poveri, ma dignitosi appassionati del Toro.
A quei tempi mio padre ci portava a villeggiare in montagna, e siccome ad agosto certe chiesette non bastavano a contenere tutti, paesani e villeggianti, molti "prendevano messa fuori" sul sagrato, col cappello in mano. Altoparlanti non ce n'era, e tutti seguivano la liturgia basandosi sull'eco delle preghiere che giungeva da dentro, sui canti, sul campanello che tintinnava lontanissimo, nel silenzio dell'elevazione.
Ecco, forse è da allora che il Filadelfia, con la sua gente fuori, davanti ai cancelli durante il rito delle partite, ha cominciato a ricordarmi una chiesa.
Al Filadelfia negli anni '40 e '50 c'era sempre una piccola folla di "meno abbienti" che restavano fuori, in strada, perchè non avevano i soldi del biglietto, e aspettavano l'ultimo quarto d'ora, quando li lasciavano entrare gratis. Allora irrompevano nel parterre come un'onda di piena, ed erano una specie di segnale orario. Chi era dentro e non aveva l'orologio capiva, vedendoli entrare, che il Toro aveva solo più un quarto d'ora da resistere, se vinceva, o da sperare, se inseguiva.
Prima della partita molti già allora cercavano di scavalcare il muro, altri s'arrampicavano per alberi e grondaie, o facevano la guardia fin dal mattino a certi buchi preziosi nei cancelli da cui si poteva sbirciare una fetta di campo.
E i fortunati dei palazzi? Quelli che abitando in Via Spano o Filadelfia, dietro le porte, potevano godersi la partita gratis? Si capiva benissimo che ricevevano ospiti per l'occasione (qualcuno magari li faceva anche pagare, chissà...) perchè ogni finestra, ogni balcone era una siepe d'occhi, e quelli dei piani bassi salivano sui tetti, a guardare in piedi.
Gli squattrinati nella via, invece, si accontentavano di far capannello intorno a chi spiava dai buchi, o passeggiavano su e giù nervosi, con l'orecchio teso agli urli della folla, urli che avevano imparato a decifrare alla perfezione. Non c'erano ancora le radioline, allora, e neanche la trasmissione "Tutto il calcio minuto per minuto" con le mitiche interruzioni "scusa Ciotti, scusa Ameri...". C'era solo la "radiocronaca di Niccolò Carosio" di una partita unica, scelta fra tutte, con l'aggiornamento da studio, ogni tanto, dei risultati dagli altri campi.
Eppure, anche senza radio, il telegrafo senza fili della solidarierà tifosa funzionava alla perfezione fra la strada e il bordo superiore della gradinata. Se il boato era da goal, da sotto non avevano neppure bisogno di chiedere "chi a l'ha segnà?" che da sopra arrivava già la risposta: "Bacci, con la colombarda (la testa)" - "E chi a l'ha dàilo?" - "Bertolon, da snistra". Se l'urlo era da fallo avversario in area, chiedevano dettagli: "Chi a l'han rëssià? (chi hanno segato?)" - "L'han faje trapëtta al cruch (Buhtz)" - "Oh, contàcc, e chi a l'é stait?" - "Cervato, col bastard" - "Cola bruta pleuja? Alora a l'é rigor!" E arrivavano persino a fischiare dalla via, a insultare l'arbitro, quasi per convincersi d'esser dentro anche loro, e patire un po' meno. "Chi a lo tira, 'l rigor?" - "Sempe chiel, ël cruch!" E all'urlo inconfondibile del goal la folla in strada si abbracciava, e saltellava, e i loggionisti, in alto, dovevano aspettare che si calmasse per spiegare com'era entrato il pallone, rasoterra, in alto, a destra, a sinistra...
Nel dopoguerra i tifosi arrivavano allo stadio a piedi (la bici la usavano i giocatori...) da chilometri di distanza, senza soldi in tasca, e per "figurarsi" la partita avevano fessure di cancelli, orecchie e fantasia, non Tv con replay e moviole. C'era un che di religioso in quei poveri, ma dignitosi appassionati del Toro.
A quei tempi mio padre ci portava a villeggiare in montagna, e siccome ad agosto certe chiesette non bastavano a contenere tutti, paesani e villeggianti, molti "prendevano messa fuori" sul sagrato, col cappello in mano. Altoparlanti non ce n'era, e tutti seguivano la liturgia basandosi sull'eco delle preghiere che giungeva da dentro, sui canti, sul campanello che tintinnava lontanissimo, nel silenzio dell'elevazione.
Ecco, forse è da allora che il Filadelfia, con la sua gente fuori, davanti ai cancelli durante il rito delle partite, ha cominciato a ricordarmi una chiesa.
Nessun commento:
Posta un commento