mercoledì 23 maggio 2012

21/05/12 - Granata da Legare - Figli della stellA

di Massimo Gramellini

E’ una vita che scrivo questo articolo sul ritorno del Toro in serie A. Mi sono scocciato di tornare in serie A. Ieri ci sono tornato di nuovo ma, sia chiaro, è l’ultima volta. A un certo punto mi è venuto pure da piangere. Eravamo ancora sullo zero a zero, Vives la passava a D’Ambrosio che la passava a Surraco che la passava a Vives che la passava a Iori che la perdeva. E io piangevo.

Non per l’errore di Iori, povero figlio che ha tirato la carretta per mesi. Pensavo alle ragazze di Brindisi, ai terremotati emiliani, e mi vergognavo di essere venuto allo stadio con la felpa granata di capitan Valentino per tendere agguati alla felicità. Possibile che la goduria pura e spensierata a noi sia preclusa per diritto divino?, mi domandavo mentre cominciava anche a piovere.

Sentivo che il gol stava per arrivare, lo pregustavo, e sciogliendo l’immaginazione nel più alto dei cieli vedevo mio padre, mio zio e l’intero pantheon degli antenati granata affacciarsi dalle nuvole sopra Superga con certi bandieroni da paura. Ero così commosso e contento che mi sono sentito in colpa e ho abbassato la testa per nascondermi, un attimo prima che il dinoccolato Oduamadi spingesse in rete la palla del ritorno in serie A. E lì al diavolo le lacrime e i sensi di colpa: ho alzato le braccia al cielo per acchiappare anch’io la mia stella.

Me la sono appuntata idealmente sul petto dopo una breve riunione fra me e me, durante la quale ho assegnato al Toro lo scudetto del 1927 ingiustamente revocato, lo scudetto del 1972 clamorosamente scippato e lo scudetto del 1977 indubbiamente strameritato. Sette più tre dieci: stella. Noi siamo figli della stella, fratelli di virus. Ne regalerei volentieri una a tutti i bambini che ieri erano allo stadio per la prima volta, trascinati a forza dai loro papà. Uno di questi papà, lo so per certo, è uscito di casa mentendo spudoratamente alla moglie: le ha detto che avrebbe portato il bimbo al museo. Temo lo abbia tradito quel bandierone di quattro metri che si trascinava sulla schiena. Le mamme sono in ansia, e giustamente: per i loro pargoli si augurano un futuro di domeniche felici, mentre il virus del Toro che molte creature innocenti hanno contratto ieri e per sempre le condannerà a una vita di gioie tribolate e tribolazioni gioiose. Un inferno, però bello, per chi capisce di queste cose.

Insomma, nonostante tutto siamo ancora vivi e ci moltiplichiamo. L’allenatore Ventura, profeta del titic e titoc che lui chiama libidine, ci tratta da depressi, ritenendoci spolpati dai tre anni consecutivi di serie B. Forse non sa che la nostra depressione dura da vent’anni, dal giorno infausto in cui cadde il Filadelfia e il Toro, il nostro Toro si inabissò. Da allora, e non può essere una coincidenza, siamo diventati una precaria del calcio, su e giù fra A e B, l’ultimo derby vinto quando ancora i giocatori non portavano i cognomi sulle maglie. Ci siamo illusi troppe volte, l’ultima con Cairo, a cui adesso la vita sta offrendo una seconda possibilità. Avrà imparato a fare il presidente? Investirà soldi veri su dieci campioncini nella speranza che due di loro diventino dei campioni, oppure continuerà a prendere in prestito i soliti dieci bolliti dal cognome più o meno altisonante? Confido nella sua intelligenza e spero che riesca finalmente a irrorarla di coraggio. Le prossime settimane saranno quelle della verità. Vedremo se Cairo ha capito la lezione e se Ventura, a cui riconosco il merito di aver dato stabilità emotiva e tattica a un branco di dispersi, vorrà essere davvero l’allenatore del Toro e non più soltanto dei giocatori che ha allenato altrove (cinque del Bari ne avevamo quest’anno, cin-que!).
Il Toro è Toro se investe a lungo termine e il primo di questi investimenti si chiama Filadelfia: il luogo che distingueva il Toro dal resto del calcio e dava al neofita granata - calciatore, allenatore, giovane tifoso che fosse - la sensazione di essere capitato in una realtà diversa, unica al mondo. La rinascita del Fila è uno sforzo da fare subito e a cui dobbiamo contribuire tutti, ma anzitutto le istituzioni cittadine, che col Toro hanno un debito d’onore. Siamo o non siamo i figli della stellA?
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=96&ID_articolo=20&ID_sezione=174

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