venerdì 9 marzo 2012

09/03/12 - Mauro Berruto: «Il Fila è il nostro scudetto»

Il CT del volley, tifoso granata
BERRUTO «A Cairo non chiediamo la Champions, ma una casa vera e la dignità»
Per essere felici abbiamo bisogno di una svolta non effimera: ritrovare il caro vecchio spirito del Toro significa anche riavere il Filadelfia
Ventura è un “allenattore” come Mourinho, Ogbonna è meglio di Naomi e con Bianchi mi confido spesso. Come con Prandelli e altri ct

PIERO VENERA

MAURO BERRUTO, cosa cercava il ct dell’Italvolley nell’allenamento del Torino, mercoledì mattina?
«Mi piace confrontarmi con realtà che non sono le mie: difatti ho cementato buonissimi rapporti con gli altri allenatori dell’Italia negli sport di squadra. Mi confronto con Prandelli, Pianigiani, Campagna, Cerioni, Barbolini, è nato subito un bel feeling: la curiosità è un valore, a me piace andare più a fondo delle cose».
Conoscere altre persone. Scoprire nuove realtà: qui viene fuori l’uomo, il Berruto laureato in filosofia e di mestiere allenatore. Ma nel Toro, cosa cercava?
«Un’idea, un’intuizione anche solo guardando un lavoro atletico, ben sapendo che calcio e pallavolo sono due sport diversi. Ma è come leggere un testo in lingua originale: serve un esercizio di traduzione per portarlo alla sua vera realtà».
Conosceva già Ventura?
«Ho letto molto su di lui, di persona mi ha subito confermato le ottime impressioni. Al di là delle indubbie competenze, è un professionista che trasmette grande fiducia; ha un patrimonio di conoscenze e non si accontenta di divulgarle: le trasmette. Non è da tutti, solo quelli bravi ci riescono».
Di cosa avete parlato?
«Della necessità di pensare al futuro. Non ho avuto difficoltà a riconoscere che noi tifosi del Toro siamo gelosi della nostra storia e del nostro passato. E che talvolta ci piace persino un po’ crogiolarci nelle nostre disgrazie. Però la penso proprio come lui: adesso è il momento di costruire il nostro domani».
Talvolta, con i media, Ventura sa essere anche uno spettacolare allenattore ...
«Beh, è una qualità: le leve motivazionali fanno muovere tutto. Mourinho ne ha fatto un asse portante del suo essere allenatore: sia con la stampa, sia con i tifosi, sia con la squadra. Il problema è un altro: di allenattori ce ne sono tanti, poi bisogna distinguere quelli bravi e quelli meno bravi».
Su Twitter lei cinguetta spesso con Bianchi: è il suo beniamino?
«Grazie a Sky ci siamo incontrati ed è nata una bella amicizia. Ho conosciuto un ragazzo intelligente, ci scambiamo idee, opinioni. Nella mia logica di tifoso lo stimo perché lui svolge in modo egregio un ruolo molto importante: quello di essere il capitano del Toro».
Lo vede ancora nel Toro?
«Non credo che la sua vena realizzativa si sia esaurita. Pertanto spero che sia così determinante in questo finale di stagione da ritenere che possa essere decisivo anche in A».
E Ogbonna?
«Mi fa impazzire, ha le qualità tecniche e atletiche del grande giocatore. Adriano Panatta dice che un campione lo riconosci già da come cammina: ebbene, il nostro difensore è un fenomeno, perché Ogbonna è più elegante di Naomi Campbell».
Berruto, Tuttosport le offre la possibilità di recapitare un pensiero, un messaggio, una supplica al presidente Cairo. Corto, ma essenziale.
«Caro presidente, non le chiedo la promozione: la sento nell’aria. Non pretendo di competere con il Milan per lo scudetto, non sogno la Champions League. Noi tifosi per essere felici abbiamo bisogno d’altro. Vorremmo ritrovare la nostra dignità, la vera anima, l’autentico spirito del Toro: non con un lampo, non con una effimera fiammata, ma per sempre. Questa svolta passa da un luogo: il Filadelfia. E’ il Fila il nostro scudetto, la nostra bacheca dei trofei. Purtroppo, e mi costa ammetterlo, bisognerebbe imparare dalla Juve».
La Juve? E che c’entra la Juve col Fila?
«Col Fila nulla, ma con la politica dello stadio di proprietà ha dato una lezione a tutti. La qualità dei luoghi è anche determinante per sviluppare la cultura sportiva. Se entro in uno stadio dove c’è la gabbia per i tifosi, sono autorizzato a fare l’animale. Se entro in un posto bello, ordinato e organizzato, cambia il mio modo di stare in quel luogo. E poi la Juve ne ha tratto anche un beneficio tecnico, oggi gioca davvero in casa: è così nei fatti, non solo per il calendario calcistico».
Al Fila il Toro potrebbe solo allenarsi. Va detto, anche se è un’ovvietà.
«Giusta considerazione. Però il Fila è la nostra casa, e pure se è diroccata resta un bene prezioso; per noi ha un valore sacro, è la nostra chiesa. E’ l’unico luogo dove potremmo ricostruire la nostra identità, la nostra dignità, quei valori morali molto forti che ci vengono pure riconosciuti dagli altri. E’ l’ora di tornare a casa, non perdiamo questa opportunità».
Lei ha lottato perché Torino tornasse ad avere squadre di A nel basket e nel volley. Ha perso le speranze?
«No, anche perché con la pallavolo ora c’è la serie A femminile e con la pallacanestro maschile si sta tornando a riempire il Ruffini. Il mio ragionamento è più articolato. Torino, per la sua storia, per il suo privilegio d’essere una delle pochissime città olimpiche del mondo, dovrebbe gestire il patrimonio sportivo così come si occupa delle risorse artistiche e culturali. L’eccellenza nello sport dovrebbe essere un orgoglio della Città almeno quanto il Teatro Regio, il Museo Egizio, la Biblioteca Civica. Anche per questo sostengo Torino capitale dello sport nel 2015».
Berruto, qui si vola troppo in alto. Torniamo alla realtà: più facile la promozione del Toro o la qualificazione dell’Italvolley a Londra?
«Sono estremamente ottimista per entrambi gli obiettivi».
L’Italia sarebbe da medaglia, alle Olimpiadi?
«Per il tipo di squadra che siamo, la difficoltà sta nella qualificazione. Se arriveremo a Londra poi ci divertiremo e faremo divertire».
Cosa succederebbe, nella pallavolo, se si spegnessero le luci di un palazzetto?
«Verrebbero con attenzione valutate le responsabilità oggettive e poi prese le decisioni previste dal regolamento».
Troppo facile. Cosa succederebbe allora nella pallavolo se un leader esprimesse le medesime idee di Buffon dopo Milan-Juve?
«Rispondo con un esempio. Finale olimpica tra Olanda e Italia, siamo al tie-break, il set decisivo per vincere la medaglia d’oro. Held, il centrale olandese, si autoaccusa di aver toccato un pallone e così l’arbitro cambia giudizio e assegna il punto all’Italia. Alla fine l’Olanda vince lo stesso, ma anziché far festa quasi si accende una zuffa in campo, con un compagno pronto a mangiarsi vivo il povero Held...».
Morale?
«E’ una questione strettamente individuale, ognuno si comporta secondo coscienza. Non esistono sport buoni e sport cattivi: il destino è sempre nelle mani degli uomini».

Foto: Mauro Berruto, 42 anni: dal 18 dicembre 2010 è il ct dell’Italvolley (Galbiati) Ciò che resta dello stadio Filadelfia, il teatro del Grande Torino: se non è una discarica a cielo aperto, il merito è soltanto dei tifosi

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