LO STADIO DEL GRANDE TORINO
LACRIME SULLE CENERI DEL “FILADELFIA”
di Stefano Caselli
Torino
Tra le tante cose che fanno disperare il tifoso del Torino – c’è l’imbarazzo della scelta, ormai – una è particolarmente indigesta, sentire uno juventino confessare candidamente: “Ma sì, in fondo io faccio il tifo anche per voi”. No, accidenti, non è così che va il mondo. O almeno non è così che andava. C’era una volta il derby della Mole, fino a vent’anni fa il più bello d’Italia. Gli spalti del vecchio Comunale si riempivano all’inverosimile, si andava allo stadio ore prima e – nei ricordi del tifoso bambino – il derby vinto o perso scandiva le tappe della memoria più degli anni scolastici. Torino-Juventus, oggi, non esiste quasi più. Si gioca di tanto in tanto, quando i granata si riaffacciano alla massima serie e il risultato non è più incerto.
LACRIME SULLE CENERI DEL “FILADELFIA”
di Stefano Caselli
Torino
Tra le tante cose che fanno disperare il tifoso del Torino – c’è l’imbarazzo della scelta, ormai – una è particolarmente indigesta, sentire uno juventino confessare candidamente: “Ma sì, in fondo io faccio il tifo anche per voi”. No, accidenti, non è così che va il mondo. O almeno non è così che andava. C’era una volta il derby della Mole, fino a vent’anni fa il più bello d’Italia. Gli spalti del vecchio Comunale si riempivano all’inverosimile, si andava allo stadio ore prima e – nei ricordi del tifoso bambino – il derby vinto o perso scandiva le tappe della memoria più degli anni scolastici. Torino-Juventus, oggi, non esiste quasi più. Si gioca di tanto in tanto, quando i granata si riaffacciano alla massima serie e il risultato non è più incerto.
IL TORO non lo vince da quasi 16 anni e difficilmente potrà riprovarci l’anno prossimo. La squadra dl “berluschino” Urbano Cairo – un tempo acclamato papa Urbano I e ora oggetto di pesanti contestazioni – langue a metà classifica in Serie B e i derby (se così si possono chiamare) li perde pure con il Novara. È accaduto lunedì sera e al di là della comica autorete e dei due pali centrati dai granata, la vittoria del Novara capolista non fa una piega. Soprattutto perché il risultato va ben oltre i novanta minuti in campo. È una sconfitta che nasce da uno schema tattico che si chiama “progetto” e che dalle parti di corso Magenta a Milano (da dove Cairo gestisce la società) sembra non aver ancora attecchito.
Il Torino è un patrimonio di passione che si sta dilapidando. Basta passeggiare per via Filadelfia, a poche centinaia di metri dal nuovo (brutto) stadio Olimpico, già Comunale, per rendersene conto: erbacce, lamiere, colonie di gatti e – soprattutto – quei moncherini di calcestruzzo che ancora conservano lo stile liberty che fu. È quel che rimane del mitico Stadio Filadelfia, la casa del Torino, raso al suolo quattordici anni fa e mai più ricostruito. Non è un caso che le disavventure sportive di una delle più gloriose squadre di calcio italiane siano iniziate proprio in quel momento. Non era solo lo stadio dove il Grande Torino vinse cinque scudetti e dove nacquero decine di campioni tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta. Era molto di più. I bambini degli anni ‘80 attraversavano la città in bici per andare a vedere gli allenamenti della prima squadra e – soprattutto – per ascoltare i racconti dei pensionati che lì passavano i loro pomeriggi. Dei balzi di Valerio Bacigalupo (nel fotomontaggio in pagina dentro i resti del Filadelfia oggi); di quando capitan Valentino Mazzola si rimboccava le maniche e regolarmente, nel giro di un quarto d’ora, arrivava il gol; o del boato nel 1957 che accompagnò la prima vittoria nel derby dopo la sciagura di Superga; o di quando negli anni ‘70 Gustavo Giagnoni, l’allenatore “comunista” col colbacco, mise Paolino Pulici a calciare ripetutamente contro un muro fino a trasformarlo in uno dei più grandi attaccanti italiani di tutti i tempi. Retorica? Forse sì. Ma era bello. E tanto basta.
Il Torino è un patrimonio di passione che si sta dilapidando. Basta passeggiare per via Filadelfia, a poche centinaia di metri dal nuovo (brutto) stadio Olimpico, già Comunale, per rendersene conto: erbacce, lamiere, colonie di gatti e – soprattutto – quei moncherini di calcestruzzo che ancora conservano lo stile liberty che fu. È quel che rimane del mitico Stadio Filadelfia, la casa del Torino, raso al suolo quattordici anni fa e mai più ricostruito. Non è un caso che le disavventure sportive di una delle più gloriose squadre di calcio italiane siano iniziate proprio in quel momento. Non era solo lo stadio dove il Grande Torino vinse cinque scudetti e dove nacquero decine di campioni tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta. Era molto di più. I bambini degli anni ‘80 attraversavano la città in bici per andare a vedere gli allenamenti della prima squadra e – soprattutto – per ascoltare i racconti dei pensionati che lì passavano i loro pomeriggi. Dei balzi di Valerio Bacigalupo (nel fotomontaggio in pagina dentro i resti del Filadelfia oggi); di quando capitan Valentino Mazzola si rimboccava le maniche e regolarmente, nel giro di un quarto d’ora, arrivava il gol; o del boato nel 1957 che accompagnò la prima vittoria nel derby dopo la sciagura di Superga; o di quando negli anni ‘70 Gustavo Giagnoni, l’allenatore “comunista” col colbacco, mise Paolino Pulici a calciare ripetutamente contro un muro fino a trasformarlo in uno dei più grandi attaccanti italiani di tutti i tempi. Retorica? Forse sì. Ma era bello. E tanto basta.
IL POPOLO GRANATA ci tiene così tanto che il “Fila” è regolarmente tra i primi dieci “Luoghi del cuore” del Fai (Fondo ambiente italiano). Ancora oggi, ridotto in macerie, viene ciclicamente ripulito e, di tanto in tanto, ci si ritrova. L’anno scorso, invece di andare allo stadio, in segno di protesta, centinaia di tifosi si sono radunati su quel prato per una grigliata. Pochi giorni fa è stato organizzato un flash-mob di solidarietà a Emiliano Mondonico, che in quel giorno aveva abbandonato la panchina dell’Albinoleffe (per poi ritornare) per problemi di salute: tutti con una sedia in mano a gridare “Emiliano alzaci la sedia”. Il “Mondo” lo fece ad Amsterdam nel 1992, quando l’ultimo grande Toro della Storia perse la coppa Uefa contro i pali (tre!) dell’Ajax. Cravero fu atterrato in area (il rigore, a onor del vero, era dubbio) e il mister protestò a modo suo sollevando un pezzo di panchina.
Di ricostruire il “Fila” (ultima partita di campionato nel 1963) si parla fin dagli anni Settanta e a elencare i tentativi, le truffe e i progetti che si sono susseguiti nei decenni c’è da diventare scemi. L’impianto, già pericolante, fu chiuso nel 1994, quando l’allora presidente Gian Marco Calleri – quello che scambiò alla pari Christian Vieri con Gianluca Petrachi, l’attuale direttore sportivo del Torino – decise che di quel rudere non sapeva che farsene. Nel luglio 1997, di fronte a centinaia di persone che intascavano cimeli di calcestruzzo, entrarono in azione le ruspe. A ricostruire lo stadio ci provò la Fondazione messa in piedi dall’ex sindaco Diego Novelli, granata doc, ma non se ne fece nulla (e non era la prima volta). Fece finta di provarci anche la misteriosa “triade genovese” proprietaria del club alla fine degli anni ’90. Nel 2000, poi, arrivò l’imprenditore Franco Cimminelli, uomo Fiat, quello che esordì dando dei “coglioni” ai tifosi che dopo 50 anni andavano ancora in pellegrinaggio a Superga e che, subito dopo, fu immortalato in tribuna a Lecce (con il Toro che tanto per cambiare retrocedeva) a esultare alla notizia di un gol di Alex Del Piero. Per Cimminelli , al tempo in cui la Juventus acquistava il terreno del Delle Alpi a prezzo di saldo (il nuovo stadio bianconero, un gioiello, sarà inaugurato tra pochi mesi), il Filadelfia era il vero affare. Presentò un faraonico progetto che per un attimo sembrò essere quello buono, ma naufragò tra sospetti di speculazione. Quindi il buon Cimminelli cominciò ad operare sull’area come un immobilliarista. Si sfiorò la rivolta popolare quando si venne a sapere che su quei terreni stavano per sorgere palazzi e supermercati. Poi il Torino di Franco Cimminelli, nel 2005, fallì, lasciando in eredità gravose ipoteche sull’area. Il Comune di Torino (che ha la sua buona quota di responsabilità in tutta questa vicenda) è riuscito a risolvere la questione con l’Agenzia delle Entrate.
Di ricostruire il “Fila” (ultima partita di campionato nel 1963) si parla fin dagli anni Settanta e a elencare i tentativi, le truffe e i progetti che si sono susseguiti nei decenni c’è da diventare scemi. L’impianto, già pericolante, fu chiuso nel 1994, quando l’allora presidente Gian Marco Calleri – quello che scambiò alla pari Christian Vieri con Gianluca Petrachi, l’attuale direttore sportivo del Torino – decise che di quel rudere non sapeva che farsene. Nel luglio 1997, di fronte a centinaia di persone che intascavano cimeli di calcestruzzo, entrarono in azione le ruspe. A ricostruire lo stadio ci provò la Fondazione messa in piedi dall’ex sindaco Diego Novelli, granata doc, ma non se ne fece nulla (e non era la prima volta). Fece finta di provarci anche la misteriosa “triade genovese” proprietaria del club alla fine degli anni ’90. Nel 2000, poi, arrivò l’imprenditore Franco Cimminelli, uomo Fiat, quello che esordì dando dei “coglioni” ai tifosi che dopo 50 anni andavano ancora in pellegrinaggio a Superga e che, subito dopo, fu immortalato in tribuna a Lecce (con il Toro che tanto per cambiare retrocedeva) a esultare alla notizia di un gol di Alex Del Piero. Per Cimminelli , al tempo in cui la Juventus acquistava il terreno del Delle Alpi a prezzo di saldo (il nuovo stadio bianconero, un gioiello, sarà inaugurato tra pochi mesi), il Filadelfia era il vero affare. Presentò un faraonico progetto che per un attimo sembrò essere quello buono, ma naufragò tra sospetti di speculazione. Quindi il buon Cimminelli cominciò ad operare sull’area come un immobilliarista. Si sfiorò la rivolta popolare quando si venne a sapere che su quei terreni stavano per sorgere palazzi e supermercati. Poi il Torino di Franco Cimminelli, nel 2005, fallì, lasciando in eredità gravose ipoteche sull’area. Il Comune di Torino (che ha la sua buona quota di responsabilità in tutta questa vicenda) è riuscito a risolvere la questione con l’Agenzia delle Entrate.
LE ULTIME notizie parlano di una costituenda Fondazione, con tanto di delibera di giunta. Nessuno osa dire – dati i precedenti – che sia la volta buona; certo le premesse sono incoraggianti. Per ricostruire il campo del Grande Torino e restituire al popolo granata la bellezza perduta, possono bastare dieci milioni di euro. Adesione e sostegno economico alla Fondazione Filadelfia è stato promesso da Regione, Provincia, Comune e Fondazioni bancarie. Soltanto una persona non ha ancora risposto alle sollecitazioni dell’assessore allo sport Giuseppe Sbriglio. Indovinate chi: Urbano Cairo, l’attuale presidente del Toro che non ha saputo, nonostante mille promesse, ridar vita a un pezzo di storia granata.
I campioni granata e la strage di Superga
I campioni granata e la strage di Superga
Per molti l’11 più forte di sempre In alto, il portiere Valerio Bagicalupo dentro il Filadelfia oggi (ELABORAZIONE DI STEFANO ATTANASIO) A destra, Urbano Cairo. Sotto, una manifestazione di tifosi granata al “Fila”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/02/16/lacrime-sulle-ceneridel-%E2%80%9Cfiladelfia%E2%80%9D/92252/?nocache
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