Sembrava che a Torino dovessero stare solo loro.
Sembrava che fosse vietato anche solo esistere, lottare, sfidarli.
Sembrava che la Juve non dovesse avere rivali.
Non solo dovevano vincere sempre loro, ma noi non si poteva nemmeno combattere.
Sembrava che fosse illecito dire: «Ci siamo anche noi del Toro, perché anche noi siamo forti».
Sembrava che a Torino dovessero respirare solo loro. Ci toglievano anche l'aria quelli della Juve, e io la loro aria non volevo respirarla.
Io respiravo bene, pulito, soltanto quando ero al Fila.
Ma gli arbitri, certi giornalisti, certi manager che giravano nel calcio, certi poteri più o meno oscuri in città. Ecco: con tutti i suoi tentacoli la Juve cercava di non farci respirare. E quelli del suo entourage non avevano nemmeno bisogno di essere comandati: sapevano da soli come muoversi per ingraziarsi la famiglia. reale.
Nella vita ci sono i servi che sono obbligati a fare i servi e quelli che scelgono di diventarlo: il potere questo lo sa.
Il 9 dicembre del '73 abbiamo il derby con la Juve. Al 74' Cuccureddu segna il gol della vittoria. Causio si avvicina alla nostra panchina e comincia a prendermi per i fondelli.
Mi alzo e gli faccio: «Gira al largo».
Ma lui continua e mi manda a quel paese.
Non ci vedo più. Scatto verso di lui, un guardalinee cerca di fermarmi, ma io riesco a raggiungerlo e gli mollo un pugno con tutta la forza e la rabbia che avevo in corpo.
Il giorno dopo presi il primo aereo per Olbia e scappai dai miei.
Rimasi chiuso in casa a pensare e a mordermi le unghie. La mano si era gonfiata incredibilmente, mi faceva un male cane. Mi sentivo in colpa, ero confuso, in trance. Mia madre approvò, mio padre mi criticò.
Al martedì tornai sul continente.
L'autista del Toro venne a prendermi all'aeroporto per portarmi al Fila.
Temevo la reazione della gente, dei giornalisti. Pensavo: è finita, adesso mi distruggeranno per sempre. Arrivai all'allenamento che tremavo. E quando vidi una folla enorme di tifosi davanti al campo, mi spaventai. Scesi dalla macchina che ero un cencio.
Ma appena la gente mi vide, cominciò a inneggiare, a battermi le mani, a sollevarmi di peso. Mille persone in tripudio per me e solo perché avevo steso uno juventino.
Mi commossi.
Oggi 25 anni dopo, dico: rifarei tutto, gli ridarei quel pugno. Perché quando ci vuole, ci vuole.
Gustavo Giagnoni
Fonte: Tuttosport, 21 gennaio 1999
http://oldblog.aruba.it/user/torovox/200410archive001.html
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