Repubblica — pagina 2
UN MANIPOLO di tifosi granata alle tre del pomeriggio è sui gradini del vecchio stadio Filadelfia. Radiolina all' orecchio, come si faceva un tempo, per ascoltare la partita della speranza. Immagini che hanno il sapore di un antico passato, tinto di gloria. Perché il futuro, invece, di glorioso non ha nulla e ancora una volta porta il nome della serie B. Un altro gruppetto si stacca e raggiunge il bar di fronte allo stadio e guarda la partita in televisione. «No al calcio moderno, no alla pay tv», è uno degli slogan dello stadio, ma adesso chi nonè andatoa Roma è lì, incollato al televisore di un bar in via Filadelfia. E gli altri a casa, a soffrire e sperare in solitudine. I minuti che mancano alla fine della partita sembrano un conto alla rovescia verso il patibolo, le possibilità di salvezza ridotte a meno di un lumicino. Sono invece più di duecento gli ottimisti che sono arrivati fino all' olimpico di Roma e nella salvezza hanno creduto dall' inizio alla fine in quello spicchio di curva Nord colorato di granata. Gridano slogan, gridano la sofferenza, la disperazione di un popolo che si ostina a combattere ma che subisce ogni volta di più. Il popolo granata ha vissuto una stagione di sofferenza silente, si è ripromesso di non contestare fin quando ci fosse anche solo una minima possibilità di salvezza. Ma quando manca una manciata di minuti alle 17 e il triplice fischio di Damato decreta la retrocessione del Toro in serie B, la pace tifosa finisce e la rabbia esplode. I tifosi si affollano sulla balaustra, chiamano sotto la curva i giocatori, la squadra si avvicina a testa china, ma appena Rosinae compagni si avvicinano partono insulti e qualche bottiglietta. Rosina scoppia in lacrime, Ventola pure, tutti fanno dietrofront, e lemme lemme si infilano negli spogliatoi. Al Filadelfia, invece, la tristezza occupa i visi. Una ragazza si siede sui gradini del vecchio stadio e trattiene la disperazione nelle mani appoggiate sulle guance. Chi è al bar esce in strada, ma non c' è nemmeno la forza, la voglia, di manifestare, di fare qualcosa, un corteo o cos' altro. Un gruppetto di ultras decide però di andare ad attendere la squadra a Caselle, di ritorno dalla trasferta. Alle 20,30 sono una ventina i tifosi che si sono riuniti di fronte all' area arrivi dell' aeroporto, dove il Torino arriverà tre ore dopo. Tutti lì per aspettare i giocatori e la dirigenza, ma non certo per festeggiarli o per dare loro il bentornato.
FEDERICA CRAVERO
UN MANIPOLO di tifosi granata alle tre del pomeriggio è sui gradini del vecchio stadio Filadelfia. Radiolina all' orecchio, come si faceva un tempo, per ascoltare la partita della speranza. Immagini che hanno il sapore di un antico passato, tinto di gloria. Perché il futuro, invece, di glorioso non ha nulla e ancora una volta porta il nome della serie B. Un altro gruppetto si stacca e raggiunge il bar di fronte allo stadio e guarda la partita in televisione. «No al calcio moderno, no alla pay tv», è uno degli slogan dello stadio, ma adesso chi nonè andatoa Roma è lì, incollato al televisore di un bar in via Filadelfia. E gli altri a casa, a soffrire e sperare in solitudine. I minuti che mancano alla fine della partita sembrano un conto alla rovescia verso il patibolo, le possibilità di salvezza ridotte a meno di un lumicino. Sono invece più di duecento gli ottimisti che sono arrivati fino all' olimpico di Roma e nella salvezza hanno creduto dall' inizio alla fine in quello spicchio di curva Nord colorato di granata. Gridano slogan, gridano la sofferenza, la disperazione di un popolo che si ostina a combattere ma che subisce ogni volta di più. Il popolo granata ha vissuto una stagione di sofferenza silente, si è ripromesso di non contestare fin quando ci fosse anche solo una minima possibilità di salvezza. Ma quando manca una manciata di minuti alle 17 e il triplice fischio di Damato decreta la retrocessione del Toro in serie B, la pace tifosa finisce e la rabbia esplode. I tifosi si affollano sulla balaustra, chiamano sotto la curva i giocatori, la squadra si avvicina a testa china, ma appena Rosinae compagni si avvicinano partono insulti e qualche bottiglietta. Rosina scoppia in lacrime, Ventola pure, tutti fanno dietrofront, e lemme lemme si infilano negli spogliatoi. Al Filadelfia, invece, la tristezza occupa i visi. Una ragazza si siede sui gradini del vecchio stadio e trattiene la disperazione nelle mani appoggiate sulle guance. Chi è al bar esce in strada, ma non c' è nemmeno la forza, la voglia, di manifestare, di fare qualcosa, un corteo o cos' altro. Un gruppetto di ultras decide però di andare ad attendere la squadra a Caselle, di ritorno dalla trasferta. Alle 20,30 sono una ventina i tifosi che si sono riuniti di fronte all' area arrivi dell' aeroporto, dove il Torino arriverà tre ore dopo. Tutti lì per aspettare i giocatori e la dirigenza, ma non certo per festeggiarli o per dare loro il bentornato.
FEDERICA CRAVERO
http://rassegnastampa.comune.torino.it/orazionet/Rassegne/COMUNE%20TORINO/06/95253210.pdf
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