GRANATIERI, PENSIERI FORTI COLORATI DI GRANATA
Il sindaco Fassino promette la rinascita dello stadio, il nigeriano è il nuovo idolo
GIAN PAOLO ORMEZZANO
Il Torino è in testa alla B con lo stesso Padova che pochi mesi fa gli ha tolto i playoff, gioca bene, vince a Marassi sulla Samp, e se alla Juventus valutano sino a sei punti in più nel nuovo stadio l'influsso del fattore campo, ci sono tifosi granata per i quali giocare al Filadelfia significherebbe promozione, scudetto il prossimo anno e poi la Champions facile.
Già, il Filadelfia. Il sindaco Piero Fassino, tifoso juventino capace di occuparsi operativamente e persino affettuosamente del Toro (prima ne abbiamo conosciuto personalmente uno solo importante, Gianni Agnelli, a lui vicino in questo atteggiamento, distantissimo in altri…), vuole la soluzione del problema Filadelfia, e si sta muovendo. Non il terzo stadio di Torino, a pochi metri poi dal primo, ma un campo di allenamento con magari qualche gradino per i sani voyeurs quando la prima squadra gioca con i ragazzini. Un museo della memoria, si capisce, punto di incontro dei tifosi. La sede del club. Amen.
Per chi come noi ha vissuto, dal dopoguerra, il Filadelfia da tifoso come da giornalista, da membro della Fondazione come da consigliere comunale vicino a Diego Novelli (il quale ha patito la decadenza dell'impianto fra decisioni non rinviabili e accuse ingiuste), l'ipotesi fassiniana va bene. Il resto è bla-bla-bla, spesso elettorale. Quando ancora si poteva credere che Cimminelli ricostruisse il Fila, alcuni ultras - che adesso, meno giovani, probabilmente vorrebbero il tempio di cui sentono sempre parlare - ci invitarono piuttosto vivacemente a fargli comprare per il Toro, con quei soldi, un certo Anelka.
Né secondo noi ci si deve fossilizzare sullo stadio di proprietà. A parte che l'Olimpico di fatto lo è quasi, e Cairo sta seminandolo di Toro un po' dappertutto, noi sempre non riusciamo a capire come l'idea dell'impianto ricco di offerte, per attirare la famiglia che lo viva magari tutto e tutti i giorni (ma con quali soldi?), si possa sposare con l'idea, fortissima specialmente nei club grandi - come il Torino spera di tornare ad essere - di sgraffignare sempre più soldi "televisivi" cedendo il calcio a emittenti le quali confezionano sontuose offerte di partite, affinché la stessa famiglia non si schiodi di casa.
Comunque, provati tutti i grandi dolori della saga granata, proviamo adesso piacere nel constatare che il mito non solo "tiene", nel tempo e nel tempio, ma si rassoda, si precisa. Il mitico Fila appare anzi sempre più mistico: altro miracolo granata, come quello di Superga sempre più impreziosita di rievocazioni, del Grande Torino sempre più "forte" anche secondo disamine tecniche, di Meroni sempre più pianto (e sono già quarantacinque anni da quella sera).
E in tema di confessioni, diciamo che ci commuove la storia granatosa di quel bambino di colore che avrà avuto un dieci anni. Girava con un pallone per San Salvario, calzando povere scarpe da calcio e indossando una maglietta taroccata di Marco Ferrante, palleggiava e sparava pallonate anche a rischio, e quando sgombravano le bancarelle del mercato nello slargo di via Madama Cristina cercava di organizzare una partitella. Lo chiamavano Giulio perché il suo nome nigeriano era troppo difficile, adesso gioca nel Toro, di cognome fa Egabua.
http://www3.lastampa.it/sport/sezioni/quitoro/articolo/lstp/423112/
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