Don Rabino: «Magari nel 2015. E si faccia subito il Filadelfia!»
«Nessuno accampi pretese, ora i lavori».
Bianchi commosso: «Il popolo granata cresce silenzioso e orgoglioso». I tifosi al capitano: «Resta un altro anno»
ELISA GENESIO
MARINA SALVETTI
ELISA GENESIO
MARINA SALVETTI
SUPERGA. «Papa Francesco ha scaldato i cuori con parole e gesti semplici ma carichi di umanità. Ha invitato a predicare, testimoniare, custodire ed edificare. C’è molto Toro in queste preghiere». Don Aldo Rabino , nell’omelia, si spinge in questo parallelo suggestivo tra le esortazioni del pontefice e quello che dovrà essere il cammino della squadra, del popolo e della realtà granata, una similitudine che suggerisce un incontro, quello di portare il Papa, appassionato di calcio e di origine piemontesi, a Superga, a pregare davanti alla lapide del Grande Torino. «Sarebbe grandioso - sottolinea don Aldo - ma purtroppo io non ho questo potere». L’idea però affascina il cappellano del Torino che, tra sogno e realtà, buttà lì anche la data, nel 2015. «Magari, per il bicentenario della nascita di Don Bosco potrebbe salire fin quassù. Facciamo partire una petizione tra i tifosi, sono sicuro che firmeranno a migliaia per invitarlo a venire».
LA CASA DEL TORO L’idea è lanciata, e sicuramente avrà un seguito molto sentito, ma un altro pensiero, che nelle ultime settimane si è trasformato in un progetto vero e proprio, sta a cuore a don Aldo: la ricostruzione del Filadelfia. Non c’è 4 maggio che dal pulpito della Basilica di Superga non venga rivolto un messaggio di speranza affinché lo stadio del Grande Torino ritorni a vivere. E anche stavolta non è mancata un’esortazione forte, che ha strappato per ben due volte gli applausi della folla. «Il Toro vuole la sua casa, che non è il terzo stadio di Torino. E’ ora che si faccia. Non sarà come prima, ma che si faccia. Non ci sono risorse sufficienti, però si incominci e basta. Nessuno accampi pretese, la priorità è cominciare. Le difficoltà economiche non possono essere un ostacolo. Anch’io sono stanco di promesse, le cose si possono realizzare soltanto con un gioco di gruppo in cui tutti tirano dalla stessa parte, più forti del destino...».
LA CASA DEL TORO L’idea è lanciata, e sicuramente avrà un seguito molto sentito, ma un altro pensiero, che nelle ultime settimane si è trasformato in un progetto vero e proprio, sta a cuore a don Aldo: la ricostruzione del Filadelfia. Non c’è 4 maggio che dal pulpito della Basilica di Superga non venga rivolto un messaggio di speranza affinché lo stadio del Grande Torino ritorni a vivere. E anche stavolta non è mancata un’esortazione forte, che ha strappato per ben due volte gli applausi della folla. «Il Toro vuole la sua casa, che non è il terzo stadio di Torino. E’ ora che si faccia. Non sarà come prima, ma che si faccia. Non ci sono risorse sufficienti, però si incominci e basta. Nessuno accampi pretese, la priorità è cominciare. Le difficoltà economiche non possono essere un ostacolo. Anch’io sono stanco di promesse, le cose si possono realizzare soltanto con un gioco di gruppo in cui tutti tirano dalla stessa parte, più forti del destino...».
DI PADRE IN FIGLIO E il destino del Toro e dei suoi tifosi è anche quello di ritrovarsi ogni anno su questa collina per una commemorazione che è diventata soprattutto un momento di festa - con tanto di pic nic sui prati finalmente riscaldati dal sole - da tramandarsi di generazione in generazione. Anche se è cambiato l’orario, alle 14.30 e non alle 17 per consentire la squadra di andare in ritiro a Milano, l’importante è esserci per testimoniare - come sottolinea don Rabino - «che il Toro è vivo e avrà un futuro, che la salita al Golgota granata serve per ripartire verso nuovi traguardi». Il cappellano granata applaude al buon senso che ha evitato di anticipare la cerimonia a venerdì o di non avere i giocatori («Senza la squadra sarebbe stato come giocare a porte chiuse») e si chiede cosa succederà l’anno prossimo quando il 4 maggio cadrà di domenica. E poi si rivolge direttamente ai giocatori ammonendoli affinché siano d’esempio. «Non ho mai visto così tanti bambini, loro vi stanno guardando, siete i loro idoli, comportatevi come tali. per loro questro sarà un giorno che non dimenticheranno mai».
EMOZIONARSI Alla lapide, tra fiori e biglietti di bimbi che con grafia ancora incerta chiedono ai grandi campioni “Toro, perché perdi sempre contro la Juventus?”, va in scena davanti al ricordo del mito degli “immortali” il momento più toccante ed emozionante. Avvolto da due ali immense di folla, tanto che don Aldo commenta colpito di non «aver mai visto tanta gente come oggi», Rolando Bianchi si avvicina alla lapide per leggere i nomi delle 31 vittime di quel tragico 4 maggio 1949. Accolto da un applauso scrosciante e salutato con un sonoro «Rolando olè, Rolando Bianchi», il capitano granata si stacca dai compagni di squadra e inizia a scandire i nomi, con voce forte e chiara, ma incrinata dall’emozione.
EMOZIONARSI Alla lapide, tra fiori e biglietti di bimbi che con grafia ancora incerta chiedono ai grandi campioni “Toro, perché perdi sempre contro la Juventus?”, va in scena davanti al ricordo del mito degli “immortali” il momento più toccante ed emozionante. Avvolto da due ali immense di folla, tanto che don Aldo commenta colpito di non «aver mai visto tanta gente come oggi», Rolando Bianchi si avvicina alla lapide per leggere i nomi delle 31 vittime di quel tragico 4 maggio 1949. Accolto da un applauso scrosciante e salutato con un sonoro «Rolando olè, Rolando Bianchi», il capitano granata si stacca dai compagni di squadra e inizia a scandire i nomi, con voce forte e chiara, ma incrinata dall’emozione.
L’ULTIMA VOLTA... Un’emozione forte, i suoi occhi lucidi non mentono, nelle sue vene pulsa sangue granata. Per lui potrebbe essere l’ultima volta in veste ufficiale davanti a quella lapide, ma i tifosi non ci stanno e urlano a gran voce «Rolando, leggili anche il prossimo anno!». Superga è viva e colorata dai ricordi e dalle speranze granata, e dalla freschezza dei bimbi che sono lì davanti alla lapide incuriositi e attenti a fare domande sul Grande Torino. Un’immagine che colpisce Bianchi: appena il capitano sale sul pullman che porta la squadra a Milano, esterna le sue impressioni con un cinquettio: «Ho visto Superga colorarsi di tantissimi piccoli cuori granata: è il popolo granata che cresce silenzioso e orgoglioso. L’orgoglio degli Eroi». Lo stesso orgoglio eterno che tramite la sua voce rotta dall’emozione è riecheggiata ancora una volta davanti alla lapide del Grande Torino.
FOTO SUPERGA. Don Rabino con Rolando Bianchi (LaPresse) SUPERGA. Il capitano saluta i tanti bambini dai cuori granata SUPERGA. Seimila tifosi sono saliti a Superga per commemorare il Grande Torino (LaPresse) SUPERGA. La squadra durante la messa in Basilica SUPERGA. I fiori di Tuttosport sulla lapide del Grande Torino
Nessun commento:
Posta un commento