Il tifoso doc: trattenere
il centrale, rinforzi furbi
e la rinascita dello stadio del mito
il centrale, rinforzi furbi
e la rinascita dello stadio del mito
gian paolo ormezzano
Sono in corso i lavori di mercato (al Torino come altrove, ma di un certo altrove che, con le sue cifre pazze e il suo rosso profondo, proprio non è il granata, chi se ne frega?) e c'è nel mondo/Toro chi sogna e chi proprio non si sogna di sognare. Chi scrive appartiene a quest'ultimo gruppo: spera in acquisti saggi o almeno furbi, al meglio e al massimo stile Udinese o via Udinese, spera in Ogbonna trattenuto per la maglia (quella granata, non quella azzurra), confida negli esiti giusti di Scommessopoli e pazienza se per colpa di qualche disonesto si dovrà pagare qualcosa, si affida alla trimurti CairoVentura-Petrachi, anche se scendendo al particolare delle tre divinità induiste che la compongono si scopre che c'è Brahma il creatore (di gioco: Ventura), c'è Vishnu il conservatore (di azioni del club: Cairo), ma c'è anche Shiva il distruttore, e che sia allora il distruttore della concorrenza. Sempre aspettando, si capisce, un creso del petrolio o dell'informatica che compri il Toro e dia la presidenza a Paolino Pulici che è tutti noi for ever.
Da anni lustri decenni il popolo granata aspetta invano che venga individuato in Sudamerica o Africa o anche Papuasia il grande talento ancora a basso costo, giovane o (Junior) vecchio, da anni lustri decenni aspetta la scoperta indigena e ora teme che, appena dopo avere scoperto che la scoperta è Ogbonna, Ogbonna vada via. Fuori dalle pratiche oniriche, si spera che quattro portieri ne facciano uno (che magari c'è già, ma come fa a saperlo, come si fa a saperlo?), che il serbo Ljajic, cognome pronunciabile solo in calabrese estremo, quello che riesce a provocare Delio Rossi e a farsi sbattere fuori dalla Nazionale di Mihailovic, arrivi qui, se proprio ce lo ha ordinato il medico, solo dopo uno stage francescano ad Assisi.
E intanto il popolo granata attende con fervori nuovi il Filadelfia, che ad un certo punto alcuni avevano quasi accantonato (sentiti urlare a Cimminelli: «Spendi per Anelka, con per il Filadelfia!») e che sapienti amorevoli cure a base di fosforo e di olio di gomito (gli angeli contro il degrado) hanno conservato, e addirittura impreziosito nella memoria. Se ne parla ormai a livello di progetto a cui mancano soltanto i soldi (della Regione, decisivi), se ne parla senza rabbia, forse si è finalmente smesso di attribuire a Diego Novelli granata doc colpe che non ha mai avuto (sognamo una pax fra lui e Manlio Collino, l'inventore del mitico/ mistico periodico «Fegato Granata», Manlio riemerso in modo commovente da una sua tragedia di vita: fantascienza?). Ma il gioco italiota del su e giù adesso rischia di far sognare non il vecchio Fila, ma uno stadio vero, nuovo, il terzo della città. Di solito quando si auspica, si promette, si progetta il Fila troppo in grande è per fare del bla-bla-bla demagogico e per avere l'alibi (il costo enorme) onde non fare nulla. Aiuto. Basta e avanza e costa poco un giardino della memoria, una lapide che racconti, i bambini sull'erba di Mazzola, un campetto di gioco con la vecchia tribuna e il museo lì sotto, un hangar per gli incontri dei tifosi. Il resto è tavor più valeriana più prozac più simpamina.
Da anni lustri decenni il popolo granata aspetta invano che venga individuato in Sudamerica o Africa o anche Papuasia il grande talento ancora a basso costo, giovane o (Junior) vecchio, da anni lustri decenni aspetta la scoperta indigena e ora teme che, appena dopo avere scoperto che la scoperta è Ogbonna, Ogbonna vada via. Fuori dalle pratiche oniriche, si spera che quattro portieri ne facciano uno (che magari c'è già, ma come fa a saperlo, come si fa a saperlo?), che il serbo Ljajic, cognome pronunciabile solo in calabrese estremo, quello che riesce a provocare Delio Rossi e a farsi sbattere fuori dalla Nazionale di Mihailovic, arrivi qui, se proprio ce lo ha ordinato il medico, solo dopo uno stage francescano ad Assisi.
E intanto il popolo granata attende con fervori nuovi il Filadelfia, che ad un certo punto alcuni avevano quasi accantonato (sentiti urlare a Cimminelli: «Spendi per Anelka, con per il Filadelfia!») e che sapienti amorevoli cure a base di fosforo e di olio di gomito (gli angeli contro il degrado) hanno conservato, e addirittura impreziosito nella memoria. Se ne parla ormai a livello di progetto a cui mancano soltanto i soldi (della Regione, decisivi), se ne parla senza rabbia, forse si è finalmente smesso di attribuire a Diego Novelli granata doc colpe che non ha mai avuto (sognamo una pax fra lui e Manlio Collino, l'inventore del mitico/ mistico periodico «Fegato Granata», Manlio riemerso in modo commovente da una sua tragedia di vita: fantascienza?). Ma il gioco italiota del su e giù adesso rischia di far sognare non il vecchio Fila, ma uno stadio vero, nuovo, il terzo della città. Di solito quando si auspica, si promette, si progetta il Fila troppo in grande è per fare del bla-bla-bla demagogico e per avere l'alibi (il costo enorme) onde non fare nulla. Aiuto. Basta e avanza e costa poco un giardino della memoria, una lapide che racconti, i bambini sull'erba di Mazzola, un campetto di gioco con la vecchia tribuna e il museo lì sotto, un hangar per gli incontri dei tifosi. Il resto è tavor più valeriana più prozac più simpamina.
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